30 ANNI DOPO/ Quella rivalsa di Napoli sul mondo che ci accompagna ancora

C’erano ancora l’Unione Sovietica, Forlani e l’Italia si interrogava sui pericoli del nucleare. Tanti di noi erano appena rientrati nei Campi Flegrei dall’esodo del post bradisismo. E quel 10 maggio, io me lo ricordo pure per questo. A mio nonno avevano appena assegnato una casa popolare a Monterusciello, nei casermoni di edilizia popolare che hanno arricchito solo chi li ha costruiti.

Quello che sarebbe accaduto nel pomeriggio, sarebbe servito solo per alleggerire temporaneamente la puzza del linoleum e delle pareti in cartone a cui i miei nonni, che avevano vissuto parte della loro vita nel centro di Pozzuoli, proprio non riuscivano ad abituarsi.

Quel 10 maggio era una vigilia di Natale in ritardo o forse in anticipo e noi bambini ce ne accorgevamo dalla frenesia e da quella frase che ci ripetevano spesso, forse per coprire la puzza di plastica e gomma del pavimento: “Oggi si fa la storia”. Non vedendo carriarmati in piazza né eserciti nascosti, davvero non riuscivo a realizzare quanto avrei apprezzato trent’anni dopo.

E come in tutte le vigilie che si rispettino, gli eventi finiscono sempre per togliere la fame.

Complice l’incerto tavolo in formica, il digiuno di mio nonno fu solo il pretesto per ataccarso ad una delle prime radioline a transistor e monopolizzare il tubo catodico su Rai 1.

Ma quel 10 maggio occorrevano grandi narratori, altrimenti nessun evento sarebbe diventato storia. Come Tacito, Polibio e Senofonte, in quel lembo di Magna Grecia, quel giorno fecero la storia Necco, Ameri e Paolo Valenti. Il calcio era ancora una cosa seria, per fortuna mancavano i funamboli del vocalizzo e gli urlatori della moviola. La poesia delle maglie azzurre diventava prosa con l’eloquio dei vecchi giornalisti, giornalisti.

Dante scriveva che Gesù Cristo si era incarnato e fatto uomo sotto l’impero Romano perché in quel preciso momento storico il diritto aveva raggiunto punte di equità e giustizia che l’essere umano non aveva mai toccato prima nella sua esistenza. E così si era fatto giudicare dal miglior tribunale possibile.

E pure a Napoli quel 10 maggio, lo scudetto ce lo portammo a casa mentre in campo danzavano i migliori numeri 10 della storia del calcio italiano. Baggio e Maradona. Il miglior calcio possibile.

Insomma, la storia si fa solo quando sul palcoscenico dei suoi eventi si manifestano eccellenti protagonisti.

Quel giorno ci fu la mia iniziazione al pallone e non avendo ancora alcuno starter pack del tifoso, per i caroselli mi arrangiai con una di quelle vecchie buste blu di plastica, dove solitamente al mercato del pesce infilavano i prodotti appena comprati (se le avvicinavi il naso sentivi l’aroma di diossina). Aperta nel mezzo ed attaccata allo specchietto retrovisore di uno dei primi modelli di Ford Fiesta.

Il ricordo dei mondiali dell’82 era già troppo lontano e mentre da Monterusciello ritornavo a Pozzuoli, osservai la mia città animarsi di nuovo. Rividi pezzi di colore, dai palazzi scoloriti e cadenti, rividi gente affacciata a terrazzi pericolanti che ancora mostravano gli scheletri di tufo. Rividi le strade della diaspora che si riempivano di gente non per partire, ma per restare.

Il 10 maggio dei miei primi 8 anni è racchiuso tutto in una scena che ebbe per me lo stesso senso di soddisfazione che provò Davide dopo aver sconfitto Golia: davanti all’Anfiteatro Flavio un’auto di grossa cilindrata targata Milano, con quattro persone (molto ben vestite) a bordo, stufe di rimanere bloccate in quel carnevale napoletano, scesero dalla berlina in preda all’isteria urlando più o meno: “terroni di merda andate a lavorare”.

Fu a quel punto che una cinquecento completamente sventrata, con le effigi di Maradona e Giordano sul cofano, giungendo da dietro tamponò la loro automobile. Il suono della carrozzeria che si accartocciava fu seguito dalla sentenza dell’autista che ergendosi dal tettuccio urlò ” ‘a prossima vota ‘mparatevi a tifà pò Napule”.

Quel senso di rivalsa meridionale (e quindi fortemente proletaria, a quei tempi al San Paolo c’erano moltissimi palermitani che sostenevano “il Napoli è l’unica squadra del sud che ci onora”) che poi è il motivo del primo scudetto napoletano, non me la sono più tolta di dosso.

*Pubblicato su Identità Insorgenti e Il Napulegno