Viesti: l’austerità ha colpito soprattutto il Sud

In un interessante articolo su Etica ed Economia, il professor Gianfranco Viesti, a proposito delle politiche di austerità ed effetti provocati dalle medesime su base territoriale scrive:

Come risulta dai dati dell’Istat, e come ha sottolineato la Svimez nelle sue Anticipazioni sul Rapporto 2015,  l’andamento dell’economia meridionale è stato nell’ultimo quadriennio molto peggiore della media nazionale. Questa circostanza non è affatto ovvia. Anzitutto, contrasta con la tendenza del decennio precedente, nel quale l’andamento del reddito pro capite è stato assai simile fra le grandi circoscrizioni. Inoltre, contrasta con una certa regolarità storica, per cui nelle fasi recessive le performance delle aree più deboli del paese sono meno peggiori della media nazionale, poiché quelle aree dipendono meno dal ciclo internazionale e beneficiano maggiormente dell’intervento pubblico, che si suppone anti-ciclico. La sensibile riapertura dei divari territoriali nell’ultimo quadriennio non è dunque un fatto scontato.

In parole povere, in tempi di crisi, le aree geografiche che beneficiano di intervento pubblico dovrebbero a rigor di logica, dipendendo meno dall’ “esterno”, soffrire meno che altrove gli effetti della crisi. In Italia ciò non accade (e non è accaduto), anzi per Viesti, l’attore pubblico, lo Stato, ha aggravato gli effetti della recessione.

Come mai?

E’ possibile fare questa affermazione innanzitutto sulla base dei dati sul “residuo fiscale” territoriale contenuti nel Rapporto 2014  della Banca d’Italia sulle economie regionali. Il residuo fiscale mostra l’effetto redistributivo implicito delle politiche pubbliche nelle diverse aree del paese. Dato che la tassazione è progressiva, e la fruizione dei principali servizi pubblici (istruzione, sanità, assistenza) è (in teoria) garantita a tutti i cittadini indipendentemente dal reddito, l’azione pubblica che scaturisce dal nostro dettato costituzionale fa sì che vi sia una significativa redistribuzione fra individui.

La Banca d’Italia certifica che il residuo fiscale “a vantaggio” del Mezzogiorno si è attestato intorno ai 56 miliardi all’anno fino al 2008. E’ sempre opportuno ricordare che a questo flusso implicito di risorse corrisponde un flusso netto in direzione contraria, di pari importo se non maggiore, dovuto allo sbilancio del commercio interregionale fra Sud e Centro-Nord. Il residuo fiscale è cresciuto fino a 60 miliardi nel 2009-10 ma è poi precipitato a 44 nel 2011-12.[…]

A parità di politiche pubbliche, il residuo fiscale tende a aumentare (diminuire) quando l’economia del Mezzogiorno cresce meno (più) della media nazionale. Questo è quanto potrebbe essere avvenuto, fisiologicamente, nel 2009-10, quando il Sud ha avuto un andamento del reddito procapite lievemente peggiore del Centro-Nord (minor ripresa nel 2010). Ma certamente non è avvenuto successivamente: a parità di politiche pubbliche, il residuo fiscale sarebbe dovuto aumentare; invece è drasticamente diminuito.

Proviamo a spiegarlo. Innanzitutto, nel caso delle regioni, il residuo fiscale è calcolato come differenza tra le tasse pagate (al netto di entrate regionali anche non fiscali a seconda di come viene calcolato) e la spesa pubblica complessiva ricevuta, ad esempio sotto forma di trasferimenti o in generali di servizi pubblici. In parole povere lo stato italiano fino ad un certo punto dell’ultimo decennio ha dirottato parte di quanto riceveva dalle regioni più ricche, alle regioni più povere. Poi c’è stato un drastico ridimensionamento. Dovuto a cosa? Semplice: alla maggiore tassazione a danno dei meridionali provocata dalla riduzione dei trasferimenti dallo Stato agli enti locali:

La risposta è contenuta nei dati presentati dalla Corte dei Conti in un’audizione parlamentare già nel 2014. La Corte documenta come l’aumento della pressione fiscale sia avvenuto prevalentemente in sede locale, e ciò abbia portato ad aliquote (dell’ Irap e delle addizionali Irpef regionali e comunali) molto più elevate nel Mezzogiorno; ciò è avvenuto anche perché dove il reddito è più basso occorrono aliquote maggiori per ottenere lo stesso gettito. Stando alla Corte dei Conti, “sembra emergere, insomma, una sorta di regola distorsiva, in virtù della quale i territori con redditi medi più bassi, espressione di economie più in affanno, sono penalizzati da una pressione fiscale locale più elevata”. E secondo la Banca d’Italia, “nel triennio 2010-12 l’incidenza delle entrate nel Mezzogiorno si è portata, in rapporto al Pil dell’area, su un livello prossimo a quello registrato nel Centro-Nord”.

Anche la spesa pubblica si è ridotta in misura decisamente più intensa al Sud. Ciò sembra dipendere sia da un effetto di composizione fra voci di spesa che da diverse dinamiche all’interno delle stesse voci di spesa; in alcuni casi proseguendo, ma in misura più accentuata, tendenze già visibili negli anni precedenti.

E i fondi strutturali nel Mezzogiorno? Non riescono a compensare il calo totale degli investimenti, rappresentandone una quota comunque minoritaria.

Ed ancora:

Se sono lievemente cresciute in termini relativi (dal 19,2% al 20,5% del Pil nello stesso periodo) le prestazioni sociali in denaro; tuttavia la spesa procapite per prestazioni sociali, a causa della minore percentuale di popolazione beneficiaria di prestazioni pensionistiche e del minore importo medio delle stesse, è nel Mezzogiorno circa i tre quarti di quella del Centro-Nord.

La morale della favola? I fondi europei ormai non bastano più (grazie anche alla drastica riduzione del cofinanziamento nella maggior parte delle regioni meridionali), manca una visione di lungo periodo ed un piano di investimenti infrastrutturali per il Mezzogiorno, gli “aiuti” da parte dello Stato per le prestazioni sociali per i cittadini meridionali sono sostanzialmente inutili, il livello di tassazione al Sud è aumentato.

Su Il Mattino di ieri Viesti chiosa, a proposito della politiche del governo:

Non si è parlato quasi per niente di grandi politiche ordinarie, e di diritti di cittadinanza. Sanità, istruzione, assistenza sociale e lotta alla povertà sono temi decisivi per il Mezzogiorno. Le tendenze degli ultimi anni sono assai preoccupanti, sia per la quantità che per la qualità; le risorse sia nazionali sia di regioni ed enti locali per queste politiche si sono ridotte, molto più al Sud che nella media nazionale.

E i meri tagli di risorse non garantiscono certo che aumenti la qualità dell’istruzione, o della sanità: servirebbero incentivi e politiche ben mirate, per fa sì ad esempio che le istituzioni dei quartieri ghetto della grandi città del Sud (e del Nord) diventino “buone scuole”. Ma un insieme di misure produce ben poco se non è legato da un filo, senon è mirato ad un obiettivo, se non è integrato da una visione.

Indirettamente la risposta a Viesti, nonostante la smentita di tutti i dati micro e macro economici, arriva dall’onorevole Picierno, sempre oggi dalle pagine de Il Mattino. Da incorniciare:

pici

Una risposta a “Viesti: l’austerità ha colpito soprattutto il Sud”

  1. […] Come risulta dai dati dell’Istat, e come ha sottolineato la Svimez nelle sue Anticipazioni sul Rapporto 2015, l’andamento dell’economia meridionale è stato nell’ultimo quadriennio molto peggiore della media nazionale. Questa circostanza non è affatto ovvia. Anzitutto, contrasta con la tendenza del decennio precedente, nel quale l’andamento del reddito pro capite è stato assai simile fra le grandi circoscrizioni. Inoltre, contrasta con una certa regolarità storica, per cui nelle fasi recessive le performance delle aree più deboli del paese sono meno peggiori della media nazionale, poiché quelle aree dipendono meno dal ciclo internazionale e beneficiano maggiormente dell’intervento pubblico, che si suppone anti-ciclico. La sensibile riapertura dei divari territoriali nell’ultimo quadriennio non è dunque un fatto scontato. Anche la spesa pubblica si è ridotta in misura decisamente più intensa al Sud. Ciò sembra dipendere sia da un effetto di composizione fra voci di spesa che da diverse dinamiche all’interno delle stesse voci di spesa; in alcuni casi proseguendo, ma in misura più accentuata, tendenze già visibili negli anni precedenti.(continua) […]

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