A Genova e Trieste la “via della seta”, a noi la “via della zappa”

Se pure il capo della Confindustria campana ha espresso disappunto vuol dire che quella di Gentiloni è proprio stata una iniziativa senza senso. O meglio il senso è ben chiaro, favorire la solita stereotipata solfa della “locomotiva del Paese”, che non porta vantaggio a nessuno (come pure sosteneva Paolo Savona).

Ma andiamo con ordine nel leggere la vicenda. Secondo quanto riporta Marco Esposito dalle pagine de Il Mattino:

In un mondo che torna ad alzare mura, è toccato alla Cina dare un segno di apertura. Rilanciando, con un vertice mondiale a Pechino tra 68 Paesi, la storica Via della Seta. L’Italia – meta tradizionale delle merci cinesi al tempo di Roma imperiale prima e della Repubblica di Venezia poi – anche nel Ventunesimo secolo ha l’obiettivo di diventare la porta d’accesso all’Europa. I cinesi, in realtà, si sono già insediati in forze nel Pireo con la Cosco, contribuendo con 368 milioni a risanare i conti della Grecia di Alexis Tsipras, anch’egli in questi giorni a Pechino. Il premier Paolo Gentiloni, per offrire un’alternativa ad Atene, ha giocato tre carte: Trieste, Venezia e Genova. «Le ragioni storiche e geopolitiche, le relazioni che abbiamo con la Cina – ha osservato il premier a Pechino – possono aiutare a cogliere questa occasione con ricadute importanti per l’Italia che con i suoi porti – da Genova e Trieste (e i loro corridoi ferroviari con l’Europa) ma anche Venezia – offre una capacità portuale come credo nessuno».
Quanto a capacità portuale, il primo porto italiano per traffico container, non è tra quelli citati da Gentiloni. È Gioia Tauro, che con 2,8 milioni di container movimentati nel 2016 è primo in Italia e sesto nel Mediterraneo dopo gli scali spagnoli di Algesiras, Valencia e Malaga, quello di Tangeri in Marocco e il Pireo in Grecia. Per merci provenienti da Oriente e in arrivo nel Mediterraneo attraverso il Canale di Suez, Gioia Tauro è molto più vicina dei porti spagnoli e del Marocco ed è anche meno decentrata di Atene rispetto al cuore dell’Europa. Da Gioia Tauro si raggiunge Berlino via Brennero in 2.100 chilometri mentre da Atene, aggirando la Serbia come prevedono i corridoi ferroviari, occorrono 500 chilometri in più.
Tuttavia l’Italia ha scelto, in modo autolesionistico, di non utilizzare la sua presenza naturale e infrastrutturale nel cuore del Mediterraneo per scommettere sui porti del Nord. Una scelta non casuale. Nel Def del 2017 – nell’allegato Infrastrutture – si cita «il progetto cinese One-Belt-One-Road» e in particolare «lo sviluppo delle tratte marittime chiamate da Pechino la Via della Seta marittima del 21° secolo» ma per dire che le grandi navi portacontainer punteranno sul Pireo. Nel Def si sostiene che in Italia c’è una «chiara ripartizione funzionale» tra il Nord che ha porti di tipo «gateway», dove cioè i container vengono spostati sui treni e raggiungono i mercati di destinazione. E il Sud Italia che ha soprattutto porti di puro «trans-shipment», cioè dove i container si trasferiscono su navi più piccole, un’attività con «prospettive modeste».

Tagliata fuori Gioia Tauro per questioni dimensionali, si sarebbe potuto investire su altri porti calabresi, siciliani o su Napoli e Salerno.

Ed invece no perché nel documento di programmazione economica e finanziaria la priorità che si individua è il «completamento delle direttrici di valico orientate verso l’Europa centrosettentrionale».

Secondo Esposito significa che:

 i porti di Venezia, Trieste, Ravenna e, con tempi più lunghi, Genova, avranno il loro scalo collegato a un treno intermodale di ultima generazione. Napoli e Salerno – che pure vantano numeri interessanti – sono del tutto tagliati fuori, con la previsione esplicita del limite alla lunghezza dei treni fissato a 600 metri e la sagoma dei vagoni di standard PC45. Per Gioia Tauro, spulciando il contratto tra governo e Rete ferroviaria italiana, si scopre che il collegamento ferroviario a standard di qualità (750 metri e sagoma PC80) è previsto, sia pure con un progetto definito in ritardo e con un percorso a zig-zag che passa per Ancona, Bari e Taranto. Un tragitto che non solo è più lungo di cento chilometri rispetto alla direttrice naturale, ma salta l’area demograficamente più interessante di Roma e di Napoli, nonché gli interporti di Nola e di Marcianise. In pratica si allontana dal percorso naturale approvato in Europa e denominato Corridoio Scandinavo, passando per Taranto dove però il traffico di container si è letteralmente azzerato.

Fugate quindi le ombre e le paure che avevano avvolto la politica vicina agli interessi delle regioni settentrionali: l’apertura del Canale di Suez avrebbe potuto favorire lo sviluppo dei porti di Napoli e Gioia Tauro, tagliando fuori proprio quelle regioni “recuperate” ieri dalle dichiarazioni di Gentiloni.

Dura la replica della Confindustria campana, per bocca del presidente Costanzo Jannotti Pecci :

“Ci hanno molto sorpreso le dichiarazioni del nostro Premier in occasione del recente vertice mondiale tenutosi a Pechino sul progetto della “nuova via della seta” lanciato dal leader cinese Xi. La scelta di escludere deliberatamente tutto il Mezzogiorno del Paese ci appare incomprensibile attesa la posizione strategica rispetto alle rotte commerciali in questione e attesi i valori relativi alla movimentazione dei container che, in particolare, per il porto di Napoli risultano pressoché uguali a quelli di Trieste e di poco inferiori a quelli di Genova, i porti che, insieme a Venezia, sono stati citati dal Premier come l’unica offerta di portualità italiana da mettere a disposizione per il piano. E’ inaccettabile ed incomprensibile la decisione del Governo di non puntare sulle regioni del sud come Hub per la portualità commerciale di oltreoceano”.

Insomma, come al solito, a loro la “via della seta” a noi “la via della zappa”.