Al Sud il “salasso” dell’energia elettrica: fino a sette volte più cara che altrove. Perchè?

Assicurazioni più care che altrove, costo del denaro più caro che altrove, oggi a due dei cavalli di battaglia di questo blog nella denuncia delle discriminazioni territoriali che incidono nella vita di tutti i giorni dei cittadini meridionali si aggiunge il costo dell’energia elettrica.

Già nei mesi estivi, avevo dato notizia di una iniziativa che in Calabria aveva visto la presenza di Pino Aprile nella denuncia di un fenomeno evidenziato da una decina di sindaci. Qualche giorno fa anche Marco Esposito dalle pagine de Il Mattino si è occupato della vicenda, arrivando ad analoga conclusione: al Sud, per chi fa impresa, il costo dell’energia elettrica può essere più caro fino a sette volte rispetto che al Nord.

Si chiama “salvaguardia ma il nome trae in inganno” -secondo Esposito- perchè i clienti per i quali scatta il regime di “salvaguardia” pagano la luce più degli altri e subiscono una discriminazione pari a quella che si riscontra nel mercato delle Rc Auto e del costo del denaro. Donde la discriminazione? Bene, se si è lombardi il sovrapprezzo in bolletta è di 16 euro Megawatt/ora. Se si è campani si sale a 96 euro e se si è calabresi si arriva a 113 euro.

La denuncia viene dal sindaco di Amendolara, Antonello Ciminelli,che  contesta all’Enel un trattamento discriminatorio nei riguardi dei dei cittadini morosi a seconda dell’appartenenza territoriale.

Dichiara Ciminelli «Mentre in Lombardia i costi della corrente sono più tollerabili, in Calabria, così come in Puglia, Basilicata e Sicilia, nelle stesse condizioni di morosità, si paga esattamente il doppio».

In particolare, secondo Ciminelli, il proprio Comune, per questa evidente discriminazione versa all’anno 700mila euro in più di un equivalente comune della Lombardia per lo stesso servizio di illuminazione fornito ai cittadini.

Per spiegare il perchè della discriminazione bisogna fare un passo indietro e considerare che, con la liberalizzazione del mercato dell’energia, in Italia esiste un mercato cosiddetto di “maggior tutela” con tariffe uniche per tutto il territorio nazionale ed un mercato cosiddetto”libero”.

Se un utente, che ha aderito al “mercato libero” si trova senza un fornitore di energia elettrica e risulti essere:

  • un’impresa che non abbia ancora esercitato il diritto di scegliere il proprio fornitore sul mercato libero e sia intestataria di almeno un sito in media tensione o alta tensione;
  • un’impresa titolare di soli siti in bassa tensione con oltre 50 dipendenti o con un fatturato annuo superiore a 10 milioni di euro.
verrà attivato il “servizio di salvaguardia” ovvero la sua fornitura verrà gestita da un fornitore selezionato attraverso gara alle condizioni economiche stabilite dall’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas.
In tale mercato il prezzo è determinato da quattro componenti, tre uguali per tutti (prezzo unico nazionale, accise ed oneri) la quarta componente, chiamata Omega è costituita dal sovrapprezzo della salvaguardia.
Anzichè stabilire anche in questo caso una componente unitaria a livello nazionale, come scrive Marco Esposito: in epoca di moda federalista si è deciso di spezzettare il territorio nazionale in dieci piccoli mercati con altrettante aste per stabilire il prezzo di salvaguardia.
Secondo quanto riferisce il giornalista de Il Mattino, il risultato di tali aste è stata una differenziazione (discriminatoria) tale per cui se in Lombardia si pagano 16 euro circa a MWh, in Calabria si arriva a 113 euro a MWh.
Analoga sorte è condivisa da Campania e Abruzzo (96 euro contro i 32 del Lazio). Considerate che la media nazionale è di 57 euro.
Ciò comporta non solo una minore competitività delle imprese che hanno sede legale nelle regioni con una componente Omega più salata, ma, secondo Esposito, anche una certa reticenza nelle assunzioni, da parte delle aziende, per evitare di raggiungere la quota di 51 dipendenti che le farebbe rientrare nelle condizioni di assoggettabilità al “Servizio di Salvaguardia”.