“Avremmo potuto chiamarci neogreci, neoaragonesi, neoangioini.Per provocazione scegliemmo, neoborbonici”

Ebbi occasione, molto giovane, di incontrare qualcuno di loro, dei neoborbonici, per caso, nei primi anni novanta. Quando ancora non erano riuniti in associazione.

Proprio quando, viaggiando con la mia famiglia lungo la rete autostradale di questo paese, superati i confini della Tuscia, le scritte razziste ed antimeridionali della Lega segnavano un limite che non s’è mai cancellato. E che aveva radici nel passato.

E la profonda distanza umana.

Non sono neoborbonico (nonostante qualcuno usi l’aggettivo, molto spesso, come offesa al blog ed al suo autore) eppure va dato merito al movimento di Riccardo Pazzaglia di aver aperto uno squarcio profondo su alcune tematiche di questo paese.

Perchè vent’anni fa (ed anche prima) essi raccontavano quanto poi è diventato il contenuto e l’oggetto di best sellers e dibattiti accesi. Di oggi.

Perchè,loro, i neoborbonici, iniziarono a parlare di identità ed orgoglio, di discriminazione e sudditanza, quando ormai tutti s’erano abituati a vivere da paria. Ed aprirono uno squarcio profondo su tante storie di questo paese, taciute. Per convenienza e sciatteria intellettuale.

L’associazione compie 20 anni. Gigi di Fiore, nel suo blog, ne racconta con oggettività e lucidità gli esordi e la missione.

Studi di pochi su documenti non sempre consultati, storie bollate come esagerazioni o invenzioni. Prima fra tutte quella del brigantaggio post-unitario. Poi, attraverso la sua rubrica domenicale sul Mattino, Riccardo Pazzaglia, scrittore, commediografo, autore di canzoni famose e uomo di tv, lanciò la sua provocazione. La rubrica era “Specchio ustorio”. Pazzaglia invitò “chi voleva parlare male di Garibaldi e delle sue imprese” a presentarsi al Borgo Marinaro a Napoli. Appuntamento il 7 settembre 1993. Una data simbolica: il 7 settembre 1860, Garibaldi era entrato a Napoli.

Riscoperta di radici, identità, cultura del Sud bollato sempre come “retrogrado, sottosviluppato, palla al piede dell’Italia”. Pazzaglia credeva di ritrovarsi quattro gatti, si presentarono in 400. Un buongiorno di buon auspicio. In quell’occasione, Pazzaglia scrisse il testo dell’inno delle Due Sicilie, che era stato musicato da Paisiello. Poi, coniò il nome dell’associazione che inseriva nel suo statuto la riscoperta e rilettura della storia, senza amnesie: nacquero i neoborbonici.

 Spiegò, Riccardo Pazzaglia, che per la Mondadori scrisse tre libri sul periodo risorgimentale: “Con sette secoli di storia, avremmo potuto chiamarci neogreci, neoromani, neoaragonesi, neoangioini. Per provocazione, partiamo dall’ultimo periodo del Sud indipendente prima dell’unità”. E furono i neoborbonici.

L’articolo completo:

Blog – Il Mattino.

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