Brindisi: i veleni dimenticati da tutti

E’ il blog del Comitato No Al Carbone di Brindisi a pubblicare oggi a pubblicare un dossier sull’area Micorosa di Brindisi:

L’area Micorosa ha un’estensione di circa 50 ettari, è ubicata nella zona industriale, a sud del petrolchimico e all’interno del Parco naturale regionale “Saline di Punta della Contessa”. Tra il 1962 ed il 1980, l’area è stata utilizzata per lo smaltimento dei residui di lavorazione del petrolchimico, con uno strato di materiale compreso tra i 2 e i 7 metri. ed un volume di circa 1,5 milioni di metri cubi. Le indagini hanno evidenziato la presenza di rifiuto costituito in prevalenza da idrossido di calcio, con un diffuso ed elevato inquinamento, sia del suolo che della falda sottostante, un’altissima concentrazione di elementi cancerogeni, alcuni dei quali per milioni di volte i limiti di legge.
L’area Micorosa si può quindi considerare, a tutti gli effetti, una enorme discarica non autorizzata ed incontrollata di rifiuti industriali speciali pericolosi, lasciata da oltre 30 anni in uno stato di colpevole abbandono.
Nel 2013 la provincia ha inviato un’ingiunzione a diverse aziende per imporre loro la messa in sicurezza dell’area. Le aziende hanno fatto ricorso al TAR (sezione di Lecce) che ha accolto con tre sentenze molto simili) il ricorso ma esclusivamente per il fatto che la lettera era stata inviata dalla Provincia e non dal Ministero dell’Ambiente. ente competente per il Sito nazionale di Bonifiche. Per il resto il TAR non solo conferma i contenuti della nota ma ricostruisce esattamente i passaggi di proprietà e la responsabilità dei vari soggetti coinvolti.
Nonostante questa sentenza che chiarisce le varie responsabilità dei privati e le previsioni giuridiche che impongono (o, meglio, dovrebbero imporre) il principio “Chi inquina paga” , nel marzo 2014 il Ministero dell’Ambiente   sottoscrive con Syndial (e comune di Brindisi e Regione Puglia) un accordo di programma per la messa in sicurezza di emergenza dell’area del valore di 68 milioni di euro, di cui solo 20 del privato. L’accordo prevede una copertura (capping) di 50 ettari e un barrieramento idraulico con trattamento delle acque di falda lungo il perimetro.

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