Caro CENSIS, non tutti i falsi sono quello che sembrano. Pezzotto cammina con me

Ieri il CENSIS ha detto senza mezzi termini che, siccome a Napoli c’è una organizzata filiera del falso, vi è mancanza di senso civico e cultura della legalità.

Che la camorra sia dietro una parte della filiera del falso è il segreto di pulcinella. Esiste tuttavia una parte dell’economia da pezzotto che è al di fuori dei circuiti della criminalità organizzata ed è piuttosto comune in quei piccoli distretti manifatturieri del Made in Italy, così diffusi in Italia.

Ieri sera a questo pensavo, non riuscendo a prendere sonno. Poi mi sono addormentato. Mi sono trovato in una stanza con drappi rossi, piena di borse, scarpe, abiti, cinte e un nano che parlava in casertano, ma al contrario. E non capivo un cazzo.

Poi per fortuna è entrato un signore con la barba è una maglia del Napoli taroccata: ” Sono Peppe ‘o pezzotto, e non tutti i pezzotti, sono quello che sembrano”…

Gesucrì, abbi pazienza fammi svegliare. Ma Peppe ha insistito: “ti racconto una storia, pezzotto cammina con me”

A questo punto Peppe si è seduto su una poltrona, ha iniziato a parlare con accento milanese e al posto della maglietta tarocca del Napoli sono comparse una giacca e una cravatta Made in Italy.

Partiamo da un dato: da qualche anno i distretti manifatturieri campani, sono diventati altamente competitivi (know how, professionalità, qualità e prezzi bassi) tanto che molti brand della moda (e non solo, spesso si tratta anche di piccole aziende di altre regioni italiane) trovano molto più conveniente commissionare un lavoro (sia finito che solo alcune fasi del processo produttivo) a piccole aziende familiari campane, piuttosto che de localizzare all’estero.

La rivincita dei terzisti casertani e napoletani. Ora se voi credete che il lavoro commissionato da un grosso brand sia improntato all’etica e non al profitto vi sbagliate, così, il committente profumato e ben vestito che si presenta alla porta del piccolo artigiano del sottoscala posto a cavallo delle province di Napoli e Caserta, pretende di ottenere un ulteriore sconto sul prezzo concordato in sede di sottoscrizione dell’accordo iniziale.

E il paio di scarpe che poi troverete in negozio a 500€, verrà venduto dal terzista , compreso di packaging, per un prezzo che si aggira dagli 8 ai 25 euro.

Il piccolo imprenditore campano, che impiega come manodopera l’intera famiglia più qualche immigrato e che, per rientrare nei costi, fa smaltire poi illegalmente i rifiuti industriali a qualche campo Rom che contribuisce così alla scenografia della Terra dei Fuochi, lavora 20 ore al giorno, festivi compresi per rispettare i termini della consegna.

Ma secondo voi, può sopravvivere solo con il lavoro commissionato dal grande brand?

No. E allora sapete che pensa? ” Un po’ di stoffa (o di pelle) mi è avanzata , qualche etichetta ce l’ho, qualche scatola o confezione mi è rimasta….ma mo’ sai che faccio? Mi produco un po’ di merce per cazzi miei e me la rivendo in negozio e così guadagno qualcosa…”

E così voi trovate in negozi e mercatini, prodotti “tale e quale” all’originale, anzi, come direbbero al Censis ” indistinguibili dall’originale” ( e grazie al cazzo sono gli stessi) ad un prezzo che, in ottica proletaria, è più giusto, equo ed accessibile a tutti. Fino a quando interviene la Finanza, sequestra tutto e il Censis contribuisce all’ernia scrotale col suo pistolotto sulla legalità di stampo geografico.

A questo punto, mi dice Peppe, il racconto potrebbe interrompersi qui, se non fosse che ci sarebbe pure un altro particolare.

Qualche volta accade che il committente si accorga pure di qualche ammanco di materia prima o packaging e fa finta di nulla. Salvo poi, al momento opportuno, farlo presente al terzista…e chiederne conto. Perché si sa, un “po’ di nero ” fa comodo a tutti, pure alle persone perbene in giacca e cravatta con accento non napoletano.

Alla fine, Peppe mi congeda : “ci rivediamo, tra 25 anni”.

Abbi pazienza, no. E mi sono svegliato.