Curre , curre ancora uagliò: “venti anni dopo, con la stessa rabbia agli occhi”

Venti anni fa, per noi adolescenti calava il sipario sull’opulenza degli anni 80. La Milano da bere, se la finivano di sucare gli imprenditori rampanti e se la bevevano i magistrati di Tonino di Pietro. Nei telegiornali la notizia era che non solo i terroni sudici finivano in galera.

Venti anni fa, noi adolescenti del Sud imparavamo il nostro ruolo in questa Italia.

“Torino,Milano, napulitano, lavate cu sapone, sciacquati con l’idrante”.

Venti anni fa tra Tucidide e Cicerone, passavamo i pomeriggi a guardare fuori dalla finestra non più con l’amara consapevolezza che tutto ci sarebbe stato dovuto e sarebbe piovuto dall’alto come retaggio lontano del miracolo italiano.

Era finito tutto. Una canzone, la colonna sonora che squarciò definitivamente quel diaframma, e ci incitava ad iniziare a correre.

“Curre, curre uagliò”…abbiamo iniziato a correre pure noi e non ci siamo più fermati.Fino a trovare quelle strofe sui libri di letteratura. Finendo per convincerci che a quasi 40 anni, pure la mia generazione di terroni, come i 99 posse era ormai stata archiviata nella memoria.

Venti anni fa, non ero molto distante dal luogo in cui quelle note venivano registrate. Stesso panorama, stessi vicoli. Con la varia umanità che ci insegnava l’uguaglianza della strada, che tu fossi studente di liceo classico o contrabbandiere alle prime armi.

Tutti insieme dietro al Super Santos o tra i banchi di una chiesa di frontiera. Come qualche secolo prima, nuovi làzzari e uaglioni. Perchè se c’è una cosa che Napoli e il Sud ti insegnano è una ineluttabile livella a cui anche un sovrano napoletano, re lazzarone, fece l’abitudine. Perchè a Napoli, l’ethos della città è tutt’uno con quello delle viscere del popolo.

Così Rosario dello Iacovo,storico agente dei 99 Posse racconta la nascita della canzone dal proprio blog

Il primo l’ho visto letteralmente nascere, con le registrazioni nella stanzetta sul retro di una casa a Vico Spezzano, nel quartiere di Montesanto a Napoli. Sul citofono c’era scritto Terrazza ★ Team, perché aveva un piccolo terrazzo dal quale si vedeva San Martino. Dal basso venivano gli odori e i suoni della nostra città, la madre, Partenope, la sirena, la filosofa e la guerriera, l’eterna musa ispiratrice delle nostre esistenze. Questo invece lo stavo aspettando da un po’ di anni, dalle discese ardite e dalle risalite, dai nostri scivoloni e dalle innocue scivolate a gamba tesa degli infami, dalle nostre teste dure come le pietre e dalle pietre che ci leviamo dalle scarpe per farne munizioni della prossima rivolta. Così, giusto per dedicarlo alle sorelle e ai fratelli, quelli con i quali abbiamo iniziato a correre bambini a Secondigliano e al Rione Amicizia, ai Quartieri Spagnoli e a Montesanto, a Pianura e a Giugliano. A Terzigliano. Quelli che ci siamo persi per strada, senza per questo perderli dal cuore. Quelli come Giggino, che me lo rivedo sulla porta di Officina 99 in un giorno di maggio del 1991 e ogni volta che ci penso non ci posso credere che mo’ non ci sta più. Quelli della Pantera che si ruppe il cazzo degli anni ottanta e decise di rimettersi a correre finalmente libera.

Con la stessa rabbia negli occhi, pure io venti anni fa, al di là della politica, immerso nella vita e nelle contraddizioni del Sud, morivo e rinascevo làzzaro, 2.0. Auguri, curre curre uagliò.

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