David Gilmour: la migliore Italia? Quella preunitaria

David Gilmour è uno dei massimi storici britannici. Da anni si occupa della storia italiana ed ha dedicato una biogradia, nel 1988 a a Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Nel 2011 ha dedicato alla storia della peinisola il saggio “The Pursuit of Italy” in cui esalta la specificità e la singolrità delle regioni italiane nella loro unicità e, di conseguenza, lancia la provocazione di una Italia migliore proprio nelle divisioni preunitarie.

Mi è ricapitata tra le mani l’intervista che rilasciò, due anni fa, al settimanale Il Venerdì:

“La cultura italiana è cresciuta nel corso dei secoli grazie alla rivalità tra comuni vicini” afferma deciso. E a sostegno della sua tesi cita il caso di Siena, “dove i governanti decisero di oscurare la gloria di Firenze costruendo la più grande cattedrale della cristianità e in virtù dell’obiettivo che si erano dati crearono le condizioni per uno sviluppo altrimenti impensabile”.

Quindi a suo avviso non è corretto parlare di comune identità italiana, almeno sotto il profilo culturale?

“Per fortuna non esiste niente del genere. Credo che la pluralità costituisca il punto di forza della cultura italiana. E’ evidente a tutti la distanza che separa sotto il profilo architettonico le chiese e i palazzi in stile romanico di Pisa o di Lucca dalle cattedrali di Bari e di Trani. E non si tratta certo dell’unico esempio. Nel Regno Unito ha purtroppo messo le radici la tendenza opposta: una cattedrale gotica nel Nord è identica a una del Sud. È un limite che non siamo riusciti a superare”.

L’assenza di un’unità culturale ha pesato in maniera negativa sulla nascita dello Stato Italiano?

“Sono certo che gli italiani dell’Ottocento volevano un paese unito ma su basi diverse. Il miglior modello di riferimento, secondo me, era quello federale messo a punto da Carlo Cattaneo, ovvero uno Stato capace di rispettare e di esaltare l’oggetività diversa delle popolazioni e la loro storia. Penso che i napoletani si sarebbero mostrati più leali nei confronti dell’Italia dopo il 1861, se fosse stato consentito loro di mantenere il sistema di regole messo a punto dai Borbone, decisamente superiore a quello dei piemontesi”.

Come giudica l’Italia di oggi?

“E’ senza dubbio un paese alle prese con grossi problemi. Tuttavia non vedo rischi d’una crisi irreversibile sotto il profilo della dinamicità culturale. Mi sembra piuttosto che la classe dirigente non sia all’altezza delle sfide da affrontare, delle emergenze che frenano il vostro sviluppo: un’eccessiva corruzione, il dilagare della criminalità e il dissesto del territorio causato da una colpevole assenza d’interventi a tutela dell’ambiente. Mi domando se uno Stato su base federale sarebbe migliore. Forse, ma non è assolutamente detto”.

[banner network=”adsense” size=”468X60″ type=”default”]