(Don’t) kill the referee…considerazioni a mente fredda di un ex arbitro di periferia

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Chiariamoci, da ex arbitro di calcio (non immaginate neppure quanto pesi quell’ “ex”, insieme alla malinconia per la puzza di umido degli spogliatoi) non credo ai complotti del palazzo. Non voglio crederci in linea generale ed astratta. Poi, le cronache giudiziarie, mi hanno già smentito. Ma, ripeto, non ci credo in linea di principio.

La partita per ogni arbitro, di qualsiasi categoria, inizia il martedì o il mercoledì di ogni given week, quando via telefono o email arriva la convocazione. E, credetemi, non esiste arbitro al mondo, che abbia a cuore la sua missione, che non trascorra le successive due o tre ore della propria giornata a studiare vita, morte e miracoli delle squadre che dovrà arbitrare. Si informerà sui moduli di gioco, sui bomber, sui simulatori, andrà a spulciare la classifica degli ammoniti e degli espulsi di ciascuna compagine. E se per le gare trasmesse dalla tv ciò risulta molto più semplice, fidatevi che diventa una impresa mossa solo dalla passione e dalla voglia di far bene, per chi dirige le gare dei campionati minori.

E la stessa cosa avrà fatto l’arbitro Doveri con i suoi collaboratori, nella settimana che ha preceduto la partita di ieri.

Eppure gli errori commessi sono stati eclatanti, ed hanno finito per danneggiare entrambe le squadre. Errori di posizionamento in campo, errori di comunicazione con i collaboratori, errori dettati dalla superficialità nell’affrontare una partita che sulla carta sarebbe stata facilissima. La prima in classifica contro una che lotta per non retrocedere. Ma il fatto che avessero scelto un arbitro d’esperienza e non un esordiente, avrebbe dovuto un attimo allertare la quaterna di ieri proprio per le insidie che il match avrebbe mostrato durante il suo divenire.

Malafede? No, non credo, neppure nel non rilevare il fallo di Callejon, la cui maglietta tirata e distesa l’ha vista pure Gennaro Esposito dalla curva opposta a quella del fallo.

Credete che a Doveri non sia venuto il dubbio che in effetti fosse rigore? Certo che si. Ma nulla, ha perseverato nell’errore. Così come , indotto in errore dal maldestro assistente, non si è accorto che il fuorigioco di Callejon era inesistente ed il gol valido. Pensate che Doveri, durante la settimana, non abbia ripetuto a se stesso “attento che quel ragazzo gioca sempre sul filo del fuorigioco, riuscendo a beffare regolarmente la difesa avversaria”. Ed anche in questa occasione il dubbio gli è rimasto. Irrisolto. Pesante come un macigno tra i pensieri che affollavano il cervello, mentre l’ossigeno se ne fotte della fatica e fa stancare la mente.

E, allora il capolavoro, per quella assurda e infruttuosa regola della “compensazione”, quasi sempre inconscia, un senso di giustizialismo da ordalia, che suona come una bestemmia a qualsiasi osservatore che ti segue dai campetti di periferia: appioppa una seconda ammonizione ad un giocatore del Carpi che, quindi, viene espulso senza alcun motivo lasciando la squadra in dieci.

L’acme tragica, della domenica da dimenticare, qualche istante dopo, quando, resosi conto dell’errore, chiede ad Insigne (falciato da Zaccardo) chi gli avesse fatto fallo. Ora spiegatemi voi un giocatore lanciato a rete, stretto da due avversari, come faccia a rendersi conto di chi lo avrebbe tirato giù. Ed infatti Lorenzo lo manda a quel paese, suggerendo così al designatore di tenere un po’ a riposto il fischietto romano.

Complotto? Malafede? No, superficialità, poca serenità (perchè?) e scarsa attenzione nell’approccio alla gara, scriverebbe nel proprio referto l’osservatore di turno.

Perchè credetemi, quando un arbitro va in campo, quando l’adrenalina muove emozioni e muscoli, pensa ossessivamente ad una sola cosa: fare bene quello che da quindici o venti anni, lo tiene chiuso in casa il sabato sera e lo spinge quotidianamente negli allenamenti, sotto il fardello delle proprie debolezze ed aspirazioni. Solo per amore del caro vecchio football e nient’altro.

E se Nino non dovrà temere un calcio di rigore, perchè non è da quello che si giudica un giocatore, di certo non si può non avere medesima indulgenza per un arbitro di calcio. Fino a quando un uomo o una donna, dai “giovanissimi provinciali” alla serie A, ogni maledetta domenica, che nevichi o batta il solleone, deciderà di scendere in campo come giudice di gioie e dolori di migliaia di persone, si ripeterà ancora la magia del calcio.