Gino Paoli: a Napoli le radici della mia anarchia

Parole d’amore e …d’anarchia quelle su Napoli, depositate da Gino Paoli in una intervista a La Stampa.

«Niente acuto mi spiace – è la versione di Paoli -. Le canzoni napoletane hanno un’altra dimensione, intimista, raccontata, non urlata. Urlare è contro lo spirito dei napoletani che son poeti dell’intimo, del sussurrato. Sono brani con una tale forza emotiva, che è un peccato sciuparle con l’acuto, bisogna renderle così per far passare l’emozione. Calcoli che proprio da quel mondo viene una certa canzone d’arte, e nel suo Dna c’è la lirica e la contaminazione del jazz arrivato nel ‘45. Nei recital canto prima Una furtiva lacrima, poi Time after time di Khan, poi O sole mio e a quel punto la gente capisce». 

Con Danilo Rea, Paoli ha messo in piedi una sorta di format: «Forse il più grande pianista era Glenn Gould che faceva Bach come voleva, e anche noi ci comportiamo così. Questo è lo spettacolo, e il disco viene fuori da una straordinaria empatia e simmetria che c’è fra me e Danilo: siamo all’unisono,un incontro che accade una volta nella vita». Dice che in 2 giorni hanno inciso 40 o 50 pezzi, buona la prima: si deduce che altre opere seguiranno… «Finché Danilo mi sopporta sì, mi dà libertà. E Napoli poi è la radice della mia dolce anarchia, non c’è popolo più anarchico, con la capacità di discutere tutto e di non subire quasi mai, mi corrisponde molto».

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