Il miraggio degli asili nido in Campania e Calabria genera mostri

Ecco le conseguenze di meno asili nido al Sud:

In base ad elaborazioni SVIMEZ su dati INVALSI, a livello regionale, esiste un forte legame tra frequenza degli asili nido e performances in italiano e matematica degli alunni delle scuole elementari. Sulla base di dati 2011, quasi un bambino trentino su quattro frequenta gli asili nido (23%), e in seconda elementare registra nelle due discipline punteggi superiori a 210. In Campania e Calabria, invece, neanche tre bambini su cento frequentano gli asili nido, e registrano in italiano e matematica punteggi di circa venti punti inferiori ai trentini. Poiché l’investimento nell’infanzia è quello con il maggior rendimento sociale ed economico, ridurre le disuguaglianze di partenza dovrebbe essere una priorità per la politica di riequilibrio territoriale: migliorare la qualità del capitale umano nel Mezzogiorno, sin dall’infanzia, avrebbe effetti positivi anche sullo sviluppo regionale. È quanto emerge dallo studio “Il più prezioso dei capitali. Infanzia, istruzione, sviluppo del Mezzogiorno” di Vittorio Daniele pubblicato sulla “Rivista Economica del Mezzogiorno”, trimestrale della SVIMEZ diretto da Riccardo Padovani ed edito dal Mulino. Sulla base di elaborazioni di dati ISTAT e INVALSI, uniti alla letteratura internazionale in materia di investimenti sull’infanzia, lo studio mette in relazione il tasso di frequenza degli asili nido fra i bambini 0-2 anni nelle varie regioni italiane con i punteggi in italiano e matematica degli alunni della seconda elementare. Performances in italiano e matematica: primi i trentini, ultimi campani, calabresi e siciliani – In testa alla classifica i bambini trentini, che realizzano punteggi superiori a 210, seguiti a pari merito da Marche, Piemonte e Friuli Venezia Giulia (207).

Tra le regioni del Sud i punteggi sono diversi: la Sardegna, la migliore al Sud, segna 203, l’Abruzzo e il Molise 201, Basilicata e Puglia sono a 198. In coda, fermi a 192 punti, con circa venti punti in meno dei bambini trentini, i bambini campani, calabresi e siciliani. Situazione simile per quanto riguarda i punteggi in matematica. I bambini trentini registrano anche qui i risultati migliori, superiori a 210. Seguono i bambini friulani (208), marchigiani e piemontesi (206). Tra le regioni del Sud la migliore si conferma la Sardegna, con un punteggio di 205. Seguono i bambini lucani (201) e abruzzesi (200), pugliesi e molisani (198). I bambini calabresi registrano in matematica un punteggio di 196, i campani di 193. In coda, con un punteggio di 190, i bambini siciliani. Le performances migliori a chi va all’asilo – Se i bambini trentini ottengono, come rilevato, punteggi più alti nelle due discipline, è anche perché fra loro il 23,3%, quasi un bambino su quattro, frequenta gli asili nido, la percentuale più alta in Italia dopo l’Emilia Romagna (26,5%). Avvantaggiati anche i bambini friulani, con una frequenza di un bambino su cinque (20,7%). Percentuali a due cifre anche per i bambini marchigiani (17%) e piemontesi (15%), che non a caso fanno registrare punteggi superiori ai 206 punti in entrambe le discipline. Anche i bambini umbri, che frequentano l’asilo per il 23% del totale, registrano punteggi pari a 203 in italiano e 205 in matematica. Situazione rovesciata, invece, al Sud. La Sardegna, che segna le performances migliori nelle due discipline, ha un tasso di frequenza dei bambini agli asilo nido del 12,6%. Ma a parte il Molise, con l’11% delle frequenze, nel Mezzogiorno i bambini che vanno all’asilo nido sono davvero pochi. In Abruzzo e Basilicata meno di un bambino su dieci frequenta l’asilo: solo rispettivamente il 9,5% e il 7,3% del totale. Le cifre scendono ancora man mano che si corre giù lungo lo Stivale. In Sicilia solo 5 bambini su 100 vanno all’asilo, 4,5 in Puglia, e addirittura ancora meno in Campania (2,8%) e Calabria (2,5%). In pratica i bambini calabresi frequentano l’asilo in misura dieci volte inferiore ai bambini emiliani. Asili nido e ricchezza – Inoltre, piove sempre sul bagnato: dove c’è maggiore ricchezza si trova anche una maggior diffusione di servizi pubblici per l’infanzia.

Mettendo infatti in relazione il Pil pro capite con la diffusione di servizi per l’infanzia emerge che Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia sono sempre le regioni con il maggior numero di asili nido e tra quelle con la maggior ricchezza pro capite. Dall’altro lato, Campania, Calabria e Sicilia si confermano regioni con una diffusione minima di servizi all’infanzia e un altrettanto basso livello di ricchezza. Non a caso i servizi di childcare hanno anche un considerevole effetto sull’occupazione femminile: in presenza di asili nido molte mamme a basso reddito sarebbero incentivate a trovare un lavoro. Secondo stime 2013, infatti, aumentare dell’1% il numero di posti nei servizi di childcare pubblici fa crescere dell’1,3% la possibilità che la madre lavori. A 15 anni competenze degli studenti meridionali più bassi della Turchia – Ma non è solo una questione di servizi per l’infanzia. Il contesto familiare e sociale ha, infatti, un ruolo cruciale nella spiegazione dei divari regionali nelle competenze scolastiche. In questi giorni, in cui si discute di “buona scuola” e di test scolastici, bisognerebbe ricordare come l’Italia sia un paese diviso quanto a competenze degli studenti: lo dimostrano i test OCSE-PISA, che misurano le competenze degli studenti 15enni in matematica e lettura e comprensione del testo. In base agli ultimi dati disponibili, fra gli studenti 15enni del Nord-Est, il punteggio medio in matematica (514 punti) è nettamente superiore alla media OCSE (494) e in linea con quello della Germania. Nel Sud e nelle Isole, invece, lo stesso punteggio scende a 446 punti, cioè 68 punti in meno del Nord-Est. In altre parole, in matematica gli studenti del Nord ottengono punteggi analoghi o superiori a quelli tedeschi; gli studenti del Sud e Isole punteggi più bassi di quelli della Turchia. Stessa dinamica per la lettura: a fronte di un punteggio medio OCSE di 496 punti, il Nord Est segna 511 punti, il Sud e le isole si fermano a 453, 22 punti in meno della Turchia. Queste differenze non dipendono solo dalla qualità dell’istruzione. I differenziali regionali nei risultati scolastici sono dovuti a una serie di variabili socioeconomiche, quali il background familiare degli studenti e/o il contesto territoriale. Una parte significativa dei divari tra Nord e Mezzogiorno dipende, poi, dagli studenti provenienti da famiglie svantaggiate. La povertà si trasmette fra le generazioni – Nel 2013, nel Mezzogiorno, un milione di famiglie (tre milioni di persone) vivevano in condizioni di povertà assoluta: un’incidenza più che doppia rispetto al Nord. Ancora più preoccupante è il quadro che emerge considerando un indicatore più ampio, come il rischio di povertà ed esclusione sociale. Questa condizione riguarda, infatti, un numero assai elevato di persone, che nel Mezzogiorno rappresenta il 47 per cento dei bambini e il 43 per cento delle famiglie con figli minori. Una povertà non solo economica: non avere la possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare liberamente capacità e talenti nei primi anni di vita, quando il capitale umano è più malleabile ricettivo, si legge nello studio, si traduce in povertà educativa, con relativa bassissima partecipazione ad attività culturali ed educative. Le disuguaglianze regionali nella qualità e quantità di servizi pubblici come quelli sanitari, assistenziali, educativi, non sono solo un ostacolo alla concreta realizzazione di diritti di base, come quello all’istruzione o alla salute. Riflettendosi sulle performance scolastiche, accentuano le disuguaglianze di partenza e contribuiscono alla trasmissione intergenerazionale della povertà e delle disuguaglianze.

L’investimento nell’infanzia è quello con il maggior rendimento sociale – Il capitale umano non è soltanto il risultato dell’investimento in istruzione o formazione sul lavoro, ma anche il risultato dell’investimento sull’infanzia. Sono pochissimi in Italia gli studi che analizzano la relazione tra condizione dell’infanzia, accumulazione di capitale umano ed effetti socioeconomici. Data l’elevata plasticità dei processi di formazione del cervello nei primi 5 anni di vita, si legge nello studio, l’investimento nell’infanzia è quello con il maggior rendimento sociale ed economico. Secondo ricerche americane non replicabili in Italia per assenza di dati, interventi a favore di bambini svantaggiati in età prescolare 0-5 anni hanno un tasso di rendimento annuo del 7-10% sull’investimento fatto. In altri termini, per ogni dollaro investito in quella fascia di età, il bambino renderà da 7 a 10 volte l’investimento. Quindi investire sui bambini paga di più che sui liceali o sugli universitari, in termini ad esempio di minore tasso di criminalità, minore povertà, migliore produttività sul lavoro, risparmio dei costi per interventi di recupero dell’istruzione, cure e spese giudiziarie, sicurezza. Questo perché, secondo studi neurofisiologici, nascere in situazioni di povertà, abuso, violenza, abbandono, può condizionare in modo molto dannoso la formazione del cervello in via di sviluppo, con maggiori possibilità, e relativi costi a carico di tutta la collettività, di incorrere in problemi sociali e di salute (alcolismo, obesità, depressione…). In questo senso, l’Italia si mostra un Paese profondamente diviso, in cui i divari regionali nel capitale umano, livelli e qualità dell’istruzione perpetuano povertà e disuguaglianza tra generazioni. Ridurre, a partire dall’infanzia, le disuguaglianze di partenza, conclude lo studio, dovrebbe essere una priorità per la politica di riequilibrio territoriale, perché migliorare la qualità del capitale umano dei bambini meridionali avrebbe effetti positivi anche sullo sviluppo delle loro regioni di appartenenza.(Fonte: Svimez)