Il New York Times elogia ancora dei luoghi di Napoli

Creato il 17 gennaio 2013 da Ilazzaro

 Il New York Times elogia ancora dei luoghi di Napoli

Se qualcuno invoca Stoccolma come meta ideale della propria vita, siamo certi che il New York Times, seguendo l’esempio di John Turturro, non sceglierebbe il rigido clima scandinavo, ma riposerebbe tra le braccia di Partenope.

Un nuovo elogio ai luoghi di Napoli, giunge dalla rubrica Postcards, in cui l’articolista si sofferma sulla certosa di San Martino, definendola un luogo memorabile.

In particolare la suggestione si adagia sui dipinti di Ribeira del 600, e, nello specifico, sulle figure di Giona e Daniele che si fronteggiano.

Ecco un estratto dal Corriere del Mezzogiorno:

Ogni volta che vedo questi dipinti», dice l’articolista, «mi soffermo sulle unghie sporche dei piedi di Giona, così magnificamente rese dal pittore; o sulla piccola colomba, quasi un batuffolo di piume, ai piedi di Noè, un tour de force illusionistico e virtuosistico». Kimmelman è attratto dalla matura rudezza di Amos, di Gioele e degli altri, che sono «vecchi presi dalla strada, coriacei e definiti; hanno grandi orecchie, la pelle cascante, teste pelate e barbe arruffate» e ci vengono incontro come figure care e terrene, un po’ come quelle di Caravaggio, ma più alla mano, più vive e reali, e non come se fossero attori sorpresi (e irrigiditi) dal flash di un fotografo. Come i cittadini di Rembrandt o come i filosofi di Velazquez, «è la loro umanità ciò che li esalta».

E poi sull’unicità del Barocco napoletano:

Kimmelman scrive che il barocco napoletano fu una sorta di insurrezione culturale e diede spazio a un’opulenza rappresentativa che non si spaventò nemmeno di corteggiare, con orgoglio, il cattivo gusto. E Ribera dipinse i napoletani con l’ammirazione del forestiero: per questo il rubrichista del New York Times lo sente vicino. Anch’egli, infatti, nella simpatia dei napoletani vede qualcosa di «così bello da spezzare il cuore», qualcosa che è della città come lo è di questi profeti, la cui dignità, come quella di Napoli, «resta illesa nonostante secoli di tribolazioni». Tutto questo è descritto come la giusta ricompensa dopo l’ascesa a San Martino, superando orti di limoni e festoni di panni appesi, fino a quel «labirinto di nicchie e tesori» che è la certosa, e alla splendida vista che da lì si gode sulla città e sul golfo. Si attraversa la soglia che separa la luce dell’esterno dalle ombre dell’interno, e, «circonfusi nella polvere di diamante che filtra nella chiesa rimbalzando sul pavimento marmoreo», di colpo, e come per un incantesimo, si è trasportati dalle strade sporche a un luogo oltremondano. Da lì, sono proprio i patriarchi e i profeti di Ribera a riportarti sulla terra: «concepiti a maggior gloria del Signore, essi, con la loro terrestrità, rinviano sia alla devozione di Ribera sia alla gloria profana della città».
Sarà anche per questo, conclude Kimmelman, che ogni volta che lascio la certosa mi viene fame: passo davanti a un forno, compro il pane e me lo mangio mentre scendo verso la città.

Ci sono luoghi unici che non riesci a toglierti dalla mente, e poi c’è Napoli…(John Turturro)

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