Il Sud cresce e fa crescere anche il Nord, ma emigra

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L’ultimo rapporto Svimez, segna a mio parere, due dati significativi ed apparentemente contraddittori: a fronte di una crescita (per carità modesta) del Mezzogiorno, che rialza anche l’economia del Nord, corrisponde continua e mai sopita emigrazione delle forze che quella crescita dovrebbero proporla e sostenerla (i giovani ad esempio).

In particolare, il rapporto rileva che:

Il 2015 è stato un anno per molti versi eccezionale per il Mezzogiorno: non solo ha interrotto una serie consecutiva di cali del prodotto che durava da sette anni, ma ha anche realizzato una crescita  maggiore di quella del Centro-Nord. Purtroppo le condizioni che hanno portato a questi risultati appaiono difficilmente ripetibili nei prossimi anni, ma hanno comunque consentito al Mezzogiorno di continuare ad
ancorarsi alla ripresa del Paese, un processo che potrà svilupparsi con forza anche maggiore se adeguatamene sostenuto da politiche economiche lungimiranti.  Secondo valutazioni di preconsuntivo elaborate dalla SVIMEZ, nel 2015 il Prodotto interno lordo (a prezzi concatenati) è cresciuto nel Mezzogiorno dell’1%, recuperando parzialmente la caduta registrata l’anno precedente (-1,2%).

L’incremento è stato superiore di 0,3 punti a quello rilevato nel resto del Paese (0,7%) (Tab. 1.3).  Dopo sette anni di crisi, l‘economia delle regioni meridionali ha quindi iniziato la ripresa, sebbene in ritardo non solo rispetto al resto dell’Europa ma anche al resto del Paese: dal 2007 il prodotto in quest’area è calato del -12,3%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-7,1%).  La crescita del prodotto nelle regioni del Sud ha beneficiato, come si è detto, nel 2015 di alcune condizioni peculiari: l’annata agraria particolarmente favorevole, con un incremento di valore aggiunto del 7,3%, che ha più che compensato la forte flessione (-6,1%) registrata l’anno precedente; la crescita del valore aggiunto nei servizi, specie nel settore del turismo, probabilmente legata alle crisi geopolitiche nell’area del Mediterraneo che hanno dirottato parte del flusso turistico verso il Sud d’Italia; la chiusura della programmazione dei Fondi strutturali europei 2007-2013, che ha portato ad un’accelerazione della spesa pubblica legata al loro utilizzo per evitarne la restituzione. Tali fattori hanno contribuito al miglioramento delle condizioni nel mercato del lavoro, con una crescita dei consumi privati (0,7%), e ad aspettative più favorevoli degli imprenditori che, insieme ai bassi livelli dei tassi di interesse, hanno sostenuto la domanda di beni d’investimento nel settore privato oltre che in quello pubblico, in linea con quella nazionale (0,8%). Inoltre, anche la domanda estera netta ha dato un contributo positivo, con un incremento delle esportazioni verso il resto del mondo del  4%.

Cresce l’agroalimentare, cresce il turismo (alla faccia di chi sostiene che Napoli deve tornare ad essere luogo di “produzione” intesa come industria pesante), cresce il Sud.

Alla faccia dei secessionisti legaioli, inoltre, cresce l’interdipendenza dell’economia settentrionale con quella meridionale:

La ripresa della domanda interna nel Mezzogiorno ha inoltre un effetto positivo sulla crescita di tutto il paese: lo sviluppo del Centro-Nord è infatti legato in buona misura anche all’andamento favorevole dell’economia meridionale, data la forte integrazione tra i mercati delle due parti del Paese. Recenti analisi della Banca d’Italia mostrano come il Sud rappresenti un mercato di sbocco fondamentale della produzione nazionale, pari a oltre un quarto di quella del Centro-Nord, oltre tre volte il peso delle esportazioni negli altri paesi della UE. Inoltre, circa il 40% della spesa per investimenti al Sud attiva produzione nel Centro-Nord.

A tutto ciò corrisponde una emorragia costante dei giovani:

Negli ultimi venti anni il Sud ha perso 1 milione e 113 mila unità (l’intera popolazione di Napoli negli anni ‘90), la maggior parte dei quali concentrati nelle fasce d’età produttiva tra 25-29 anni e 30-34 anni, (23 mila unità). A questi si accompagna una perdita di popolazione di 2 mila unità nella fascia di 0-4 anni in conseguenza al flusso di bambini che si trasferiscono con i genitori