Industriali e camorristi, stessa “monnezza” e medesimo lucro

Che si continuino a tenere fuori gli industriali in doppio petto e soldi puliti in tasca, dalla vicenda dei rifiuti tossici interrati in Campania (e chissà in quale altra regione del Sud), e dalle loro responsabilità, è fuori da ogni logica, morale ed etica.

Queste, le responsabilità, invece, sono chiare ed evidenti, e pari a quelle dei camorristi. La diversità di provenienza geografica ed accento non ne attenua la colpevolezza. Il continuare a porre un discrimine tra l’imprenditore ed il camorrista è totalmente insensato. Il patto,scellerato,aveva la benedizione, secondo quanto riferisce Schiavone (e al momento non ancora smentito da alcuno), delle istituzioni (oltre che della massoneria deviata).

Ho già ribadito più volte, su questo blog, quanto riferito anche dall’Independent lo scorso anno: lo sversatoio Campania era funzionale al sistema industriale italiano, per fronteggiare la concorrenza del mercato globale alle imprese nazionali. Bisognava abbassare i costi di produzione. Delocalizzando, licenziando o, molto più semplicemente, risparmiando sui costi di smaltimento dei rifiuti.

Del resto i campani, cui sovente si rimproverava il loro essere completamente incapaci a gestire il ciclo dei rifiuti, il puzzare, l’essere una fogna o una cloaca, come se ne sarebbero mai accorti? E a quelli che se ne accorgevano e denunciavano, ci pensava chi raccoglieva le segnalazioni. Tutte contro uno spesso ed impenetrabile muro di gomma. Fatte salve talune esemplari eccezioni (del resto “con i rifiuti facevamo anche i sindaci”- Schiavone)

Così, invece di intervenire a livello strutturale, si scelse la via comoda del risparmio sulla salute dei cittadini somali prima e campani poi.

A supporto, la quantificazione dei profitti degli industriali, dai verbali desecretati di Schiavone:

Affidare i rifiuti ai camorristi consentiva agli imprenditori (apparentemente) puliti di guadagnare due volte: incassando dalle Amministrazioni comunali più di quanto pagato alla cosca e allungando la vita delle discariche autorizzate che si riempivano a un ritmo assolutamente inferiore rispetto a quello che sarebbe stato logico attendersi. D’altronde, i costi di questo genere di operazioni erano tutt’altro che proibitivi: i titolari delle ditte “pagavano 500mila lire a fusto” alla camorra a fronte dei “2 milioni e mezzo” che sarebbero stati necessari. (Il Sole 24 Ore)

In questo modo, mentre altrove il Pil si alzava e si pontificava sulla inciviltà dei campani nella gestione delle continue emergenze da monnezza (provocata in buona parte da discariche legali riempite con rifiuti illegali ed industriali e dagli interessi copiosi scaturenti dalle stesse, continue “emergenze”), a cavallo tra Napoli e Caserta si iniziava a morire.

Nonostante ciò, nonostante cioè si fosse a conoscenza della situazione, in Campania si è continuato a spedire, legalmente, rifiuti industriali provenienti da fuori regione. Sul dove venissero smaltiti, resta ancora un mistero. Soltanto nel recente “decreto del fare” all’indomani delle prime rivelazioni di Schiavone, il ministro Orlando ha deciso di sospendere “temporaneamente” questi viaggi.

Di certo, inoltre, nessuna esimente può essere attribuita alla classe politica campana che, tra l’altro, in taluni casi, è riuscita a salvarsi, dall’essere inchiodata giudizialmente alle proprie responsabilità, soltanto ai tempi supplementari. Leggasi “prescrizione”.

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Una risposta a “Industriali e camorristi, stessa “monnezza” e medesimo lucro”

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