La chiusura dell’Ilva è colpa dell’ecologismo esasperato!

Così Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera, nella difesa, a spada tratta, della siderurgia italiana e dei suoi (della siderurgia) “capitani coraggiosi”:

un orientamento anti-industriale, travestito da ecologismo, che punta alla decrescita, alla de-industrializzazione, perché tratta l’industria in quanto tale come una minaccia per l’ambiente. Da utile mezzo per contrastare le esternalità negative (i costi collettivi prodotti dall’inquinamento) l’ecologismo è diventato un’arma ideologica al servizio della mobilitazione anti-industriale (si veda il bel saggio di Carlo Stagnaro sull’ultimo numero della rivista Limes ). Se non fossero stati sostenuti da questa diffusa sindrome anti-industriale, i magistrati di Taranto avrebbero forse attivato, come chiedeva il governo, percorsi dagli esiti meno distruttivi per l’industria italiana.

 

In poche parole, se l’Ilva chiude, in tutta Italia, a causa del casino sollevato dai tarantini, la colpa è dei magistrati che hanno accolto le istanze di chi ha provato ad alzare la voce e ribadire l’insostenibilità ambientale di impianti non a norma (i soldi tra l’altro c’erano ma, secondo la procura di Milano, avrebebro preso altre destinazioni). Questa è l’Italia, signori miei.

La risposta di Pino Aprile, giornalista e scrittore, dal suo profilo Facebook:

L’infamia dell’editoriale del Corriere della sera di oggi: se l’Italia perde la sua siderurgia, non è perché da vent’anni si tenta in tutti i modi di costringere i Riva a rispettare le norme per fare l’acciaio senza ammazzare la gente, mentre portano all’estero i soldi; no, la colpa è della magistratura che pretende di far rispettare la legge!!! Il signor Panebianco, che firma questo editoriale, senza una-parola-una sui Riva, vada a vivere nel rione Tamburi con i suoi cari. E poi scriva un altro editoriale.

 

Il giornalista pugliese, cresciuto a Taranto, già lo scorso Novembre lanciò una provocazione ai Riva e all’allora ministro Clini, per risolvere la questione Ilva:

Far trasferire tutti i “responsabili” (dal ministro Clini ai proprietari dell’Ilva, ai dirigenti, ai politici coinvolti, ai sindacalisti), nella palazzina delle case popolari in cui sono cresciuto io, a Taranto, rione Tamburi: basta attraversare la strada, per essere nello stabilimento siderurgico. Mia madre ha raccolto chili e chili di carbone in polvere, in casa.
Naturalmente, i “responsabili” (in ogni senso…), dovranno risiedere lì finché non avranno trovato una soluzione decente. Dovranno andarci a vivere con mogli, figli, nipoti, con le loro allergie, e nonno asmatico. Con i bambini che non possono giocare (lo vieta un’ordinanza comunale) nei giardini, per strada, causa abnorme tasso di diossina; dovranno mangiare la verdura comprata al mercato rionale, con il dubbio che venga da orti prossimi alla madre di tutti i veleni; dovranno mangiare formaggi e animali che possono aver pascolato lì intorno (centinaia vennero abbattutti, perché avevano carne intossicata).

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