La favola bella dell’intraprendere al Sud: banche, tasse e mafie e passa la paura

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Da anni mi diverto a contraddire gli esperti, gli economisti, gli account manager, key manager, junior manager, brand manager, antani manager, sord specialist, e compagnia bella, che fomentano il nostro gigantismo scrotale (c’abboffn a ‘ualler) sugli infiniti modi di fare impresa al Sud: hanno il sole, il mare, la pizza e il mandolino…se stavamo in Germania…

Quando andavo scrivendo che esiste una profonda discriminazione nell’accesso al credito tra il Nord e il Sud del Paese e che era inutile auspicare “una grande sciarlmescec” terrona se mancavano infrastrutture e la tassazione era più elevata, arrivava sempre il solito italiano che si documenta da Giletti, la domenica pomeriggio chiedendo : “si ma le fonti?”.

Eccole le fonti: Svimez, Cerved, Confindustria e Confeserfcenti:

Il ministero dello Sviluppo economico (MISE) ha ottenuto l’approvazione di una dotazione finanziaria – complessivamente sono stati stanziati 700 milioni di euro destinati esclusivamente a cinque regioni meridionali: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia –, per gli investimenti delle imprese e per lo sviluppo del Mezzogiorno.

I fondi in questione potrebbero stimolare la crescita di una parte del Paese colpita duramente dalla crisi economica: secondo i calcoli dello SVIMEZ, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno, tra il 2008 e il 2015 degli 811mila posti di lavoro spariti complessivamente in Italia, ben 576mila sono stati persi nelle sole regioni meridionali.

Nonostante alcune previsioni positive – Confindustria e CERVED stimano che, seppure a ritmi di crescita inferiori rispetto alla media nazionale, nel 2016 le PMI meridionali vedranno crescere tanto il fatturato (+2,8%) quanto il valore aggiunto (+4,1%) – quest’anno non è iniziato nel migliore dei modi per gli imprenditori meridionali. Secondo Movimprese, l’indagine trimestrale sulla natalità e la mortalità delle imprese italiane registrate presso le Camere di Commercio, nel Mezzogiorno – dove si registra il più alto numero di imprese attive rispetto alle altre aree geografiche del Paese: 1.993.977 attività, secondo i dati aggiornati al 31 marzo 2016 –, nel primo trimestre del 2016, a fronte di 36.748 iscrizioni, le cessazioni sono state 39.870 cessazioni. Con un saldo negativo pari a 3.122 unità, dunque.

Oltre ad accedere con maggiori difficoltà al credito bancario – difficoltà sottolineate recentemente anche da Confesercenti –, una parte degli imprenditori meridionali fa i conti anche con una pressione fiscale particolarmente elevata, specie nel confronto con il resto del Paese. L’ultimo dossier del Centro Studi della CNA osserva che, tra i dieci comuni con il Total Tax Rate – ovvero il peso complessivo del fisco – più alto nel 2015, ben sei (Reggio Calabria, Catania, Bari, Napoli, Salerno e Foggia) sono meridionali. In particolare, nella città calabrese, che occupa il primo posto della classifica, il Total Tax Rate è pari al 73,2% contro il 61% della media nazionale.

Nel 2013, la classifica provinciale del costo del denaro vedeva ‘maglia nera’ la provincia di Crotone dove i tassi di interesse si attestano all’8,37%.  I tassi più bassi si registrano invece a Bolzano (3,77%), Udine (4,05%) e Cuneo (4,21%). In pratica a Crotone il denaro costa più del doppio rispetto a Bolzano con una differenza di ben 460 punti base). In parole semplice un crotonese che vuole farsi prestare soldi per intraprendere  da una banca, lo paga più del doppio rispetto a Bolzano. Solo che in Sud Tirol  non hanno la Salerno Reggio Calabria.

Al netto di tutte le considerazioni sul socio occulto, chiamato mafia. Chi fa impresa al Sud con successo e profitto non è coraggioso. E’ eroico.