“L’arretratezza del Sud? Ci vivono troppi meridionali”(sic,cos’e pazz!!)

Ecco la presa di posizione di Pino Aprile contro l’ennesimo pamphlet diversamente leghista, recentemente pubblicato:

RIPORTO LA DOCUMENTATA REPLICA DEI PROFF. VITTORIO DANIELE E PAOLO MALANIMA, ALLE PRESUNTE SPIEGAZIONI A SENSO UNICO DEL LIBRO “PERCHE’ IL SUD E’ RIMASTO INDIETRO” (PERCHE’ E’ PIENO DI MERIDIONALI…, SEMBRA LA CONCLUSIONE DELL’AUTORE DI COTANTO TESTO). QUI, PER LA VERITA’, RIPORTO LA SINTESI. CHI VUOLE, PUO’ PRENDERE LO STUDIO COMPLETO DAL SITO INDICATO IN FONDO. OGNUNO VALUTI DA SE’…

Perché il Sud è rimasto indietro?

Il Mezzogiorno tra storia e pubblicistica

Vittorio Daniele Paolo Malanima

Febbraio 2012

Sintesi

Il volume di Emanuele Felice, Perché il Sud è rimasto indietro, il Mulino, Bologna, 2013, è un pamphlet piuttosto che un libro di storia economica. Il volume muove da alcune considerazioni critiche circa le nostre stime del divario Nord-Sud (V. Daniele, P. Malanima, Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011, Rubbettino, 2011). In realtà, Felice riporta dati non corretti (e, dunque, fuorvianti) rispetto a quelli da noi pubblicati: ci si riferisce, in particolare, alle stime del prodotto per abitante del Lazio e della Campania. Anche le critiche sul metodo da noi utilizzato risultano inconsistenti. Sulla base delle fonti da noi utilizzate, la modifica dei confini regionali (da quelli dell’epoca a quelli attuali) non modifica significativamente il divario di sviluppo tra Nord e Sud che, a nostro parere, nel periodo 1861-91 non superava il 10 per cento.

Nel suo volume, Felice scrive che il divario alla data dell’Unità si attestava attorno al 20-25 per cento. Tale affermazione è, però, in contraddizione con le sue stesse stime, pubblicate nell’Appendice online, secondo le quali, nel 1871, la differenza nel Pil pro capite (in parità di potere d’acquisto) tra Nord e Sud era inferiore al 10 per cento. Tale dato non viene, tuttavia, mai discusso nel libro.

Secondo Felice il divario di sviluppo tra Nord e Sud è spiegato, in larga misura, da differenze istituzionali: fu nel periodo borbonico che al Sud si consolidarono «istituzioni estrattive»; di contro, al Nord, si formarono «istituzioni inclusive», cioè favorevoli allo sviluppo. Tale spiegazione non risulta del tutto coerente con le argomentazioni offerte: nel volume, i fattori istituzionali passano in secondo piano, mentre l’arretratezza del Sud viene attribuita all’operato delle classi politiche e dirigenti meridionali o ad aspetti sociali e “culturali”. Per esempio, discutendo dei differenziali nelle competenze degli studenti, per come misurate dai test scolastici, o delle differenze Nord-Sud nella quota di laureati in materie scientifiche, Felice afferma che queste differenze «confermano la resistenza del Sud Italia ad accettare e quindi a implementare la modernizzazione, che proviene dall’esterno; il che rende meno efficace anche la cornice unitaria imposta dallo stato centrale» (p.125). Il Sud sarebbe, cioè, rimasto impermeabile alla modernità illuminista, che lì avrebbe vita stentata. Nel Sud persisterebbe, secondo Felice, «una visione “magica” del mondo che si rivela ad esempio nelle pratiche rituali della superstizione» (p. 126). Sarebbero, dunque, la resistenza alla modernità e una visione “magica” del mondo, a spiegare il minor punteggio nei test scolastici dei quindicenni meridionali, la carenza d’istruzione tecnica e scientifica, o il grado di diffusione delle scienze esatte nell’università di massa.

Non mancano, poi, gli strali sulle risorse assorbite dal Mezzogiorno: «Ai nostri giorni, – dice Felice – le spese dello stato tanto per la sanità, quanto per l’istruzione, sono in rapporto al reddito (e alla contribuzione) maggiori al Sud che al Nord; e sono maggiori le spese totali dello stato per abitante, in tutte le regioni del Sud, di norma di 20-30 punti percentuali sulla media italiana» (p. 211). Ricordiamo a Felice che istruzione e sanità sono diritti di cittadinanza che la Costituzione italiana assicura a tutti gli italiani, indipendentemente dalla propria condizione economica – ci mancherebbe che quei diritti dipendessero dal reddito o dalla capacità contributiva degli individui! È la stessa Costituzione, poi, ad assegnare all’azione pubblica una funzione redistributiva. La redistribuzione avviene, poi, tra cittadini, non tra regioni. Quanto alla spesa pubblica per abitante, il dato riportato da Felice semplicemente non ha alcun fondamento: la spesa pubblica per abitante è nettamente inferiore al Sud rispetto al Nord – tra il 1996 e il 2011, la spesa totale primaria per abitante è stata mediamente di 10.650 euro al Nord e di 8.735 al Sud – e paradossalmente, lo è anche quella cosiddetta “per lo sviluppo”i.

La nostra interpretazione differisce nettamente da quella di Felice. In tutti i paesi, l’avvio della crescita economica moderna si accompagna con la formazione d’ineguaglianze regionali nello sviluppo. Anche nel caso dell’Italia, il divario Nord-Sud fu determinato inizialmente dall’interazione di forze economiche fondamentali: l’industria si concentrò nel Nord-Ovest, mentre le regioni meridionali − geograficamente distanti dai grandi mercati del Nord e d’Europa e penalizzati da carenze infrastrutturali − accusarono una progressiva perdita di competitività. Il divario divenne significativo alla fine dell’Ottocento. Da allora, per oltre 50 anni, le differenze economiche tra Nord e Sud crebbero. Nella complessità del mondo reale, sono diversi i fattori che possono imprimere un vantaggio a un’area determinandone il successo. Le politiche economiche possono incentivare la localizzazione industriale; le infrastrutture migliorano l’accesso ai mercati e riducono i costi di trasporto; la qualità del capitale umano tende a favorire l’innovazione; la criminalità scoraggia gli investimenti. La traiettorie di crescita regionale sono, cioè, influenzate da un mix di fattori.

L’interpretazione dei fatti dipende dalla prospettiva adottata. Noi non crediamo che una storia ideologica del Mezzogiorno ci possa aiutare a veder meglio le cose. La storia di Felice è la solita storia in negativo, a cui le discussioni sulla questione meridionale ci hanno abituato da decenni e decenni. Insomma, mentre nell’accertamento dei fatti le differenze fra i nostri lavori e quelli di Felice sono relativamente modeste, sia nelle finalità della ricerca che nell’interpretazione, il divario, per così dire, è forte e insanabile.

L’articolo di V. Daniele e P. Malanima, Perché il Sud è rimasto indietro? Il Mezzogiorno tra storia e pubblicistica, può essere scaricato (in formato working paper) dai links seguenti:

http://www.vittoriodaniele.info/wp-content/uploads/2011/12/sud.pdf

http://www.paolomalanima.it/default_file/Papers/Daniele_Malanima_ReplicaFelice.pdf