Non chiamatele per nome e le mafie si faranno i cavoli loro

Da giorni Giuliano Ferrara (lo stesso che ha rivelato di essere stato un confidente dei servizi segreti americani  a metà degli anni 80) si accalora per le sorti della sua Roma. “Non chiamatela Mafia, dove sono i morti sul selciato?” Eppure Ferrara dovrebbe ricordare gli oltre 30 morti ammazzati, sul selciato capitolino nel 2012 e nel 2013, a meno che non gli sembrino pochi o non necessari a configurare talune fattispecie come mafiose, nonostante il fitto pulviscolo di delinquenza e criminalità che scaturisce dalle indagini.

Le masturbazioni mentali nominaliste sul termine “mafia” che evidentemente per taluni puristi va collocato geograficamente solo al Sud, sono stucchevoli quanto talune dispute Scolastiche sul sesso degli angeli.

Non dite che esiste e la mafia ringrazia. Non chiamatela per nome e continuerà a farsi i fatti suoi. Adducete un’accento tutt’altro che terrone per caratterizzarla ed i cittadini non capiranno mai dinanzi a che cosa si trovano, narcotizzando l’allarme sociale. Assopendolo e drogandolo.

“Era così una brava persona, chi se lo sarebbe mai aspettato” , come se il mafioso non fosse esente dal parlare un dialetto alieno dal siciliano e camminasse con la lupara in spalla.

Così nessuno se ne accorge, o gli fa comodo non farlo.

Ora, se l’accento dei protagonisti di #MafiaCapitale fosse stato il napoletano, il siciliano o il calabrese nessuno si sarebbe scandalizzato se avessimo chiesto l’ergastolo e l’applicazione del 41 bis per associazione mafiosa. Non è forse un comportamento mafioso quello di chiedere il pizzo? Di minacciare di sgozzare il creditore di un debito di usura insieme ai figli? Di farlo urlare come un’aquila sgozzata?

A proposito della “mafia” Sciascia scriveva: “La più completa ed essenziale definizione che si può dare della mafia, crediamo sia questa: la mafia è un’associazione per delinquere, coi fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si impone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato”.

Possiamo integrare le vicende romane in questa fattispecie? La risposta ci dà la cifra etica, morale, nominalistica e penale di #MafiaCapitale.

Il comportamento mafioso è prima di ogni altra cosa una categoria dell’animo umano da cui scaturiscono tutte le conseguenze che conosciamo, ben prima di tutte le implicazioni penali ( e non ha caratteristiche geografiche mettetevelo in testa). A cominciare dalla riduzione dei tempi per un ceritifcato al municipio evitando la fila, o ottenendo dal CUP la prenotazioni per una visita col Servizio Sanitario Nazionale (“c’ho n’amico che…”) scavalcando gli altri (prevaricazione):

Questo succedeva un anno fa ad esempio:

Il 50% delle prestazioni erogate nel Lazio evadono la lista di attesa ufficiale risultando di fatto fuori agenda. In altre parole 50 cittadini su 100 ricevono le prestazioni richieste scavalcando altri pazienti regolarmente in attesa”. Questa la denuncia resa nota stamani da Gianni Fontana, referente regionale per il Recup, il servizio unico per la prenotazione telefonica degli gli esami diagnostici, intervenuto a margine di un’audizione alla commissione regionale Sanita’ sul tema “liste d’attesa nel Lazio”.

Ciò non per esprimere giudizi di valore, lo ripeto, su base geografica, ma per ricordarci che alle lusinghe della mafiosità siamo tutti potenzialmente suscettibili e, allo stesso tempo, inconsapevolmente, potenzialmente complici del nutrimento della “bestia”, che a Napoli chiamiamo “o’sistema”. Minimizzare non risolve il problema.