Pierluigi, arbereshe e calabrese stregato da Napoli

Pierluigi l’ho conosciuto a Roma, per caso. Se non fosse stato per lui, non mi sarei mai interessato ai temi del meridionalismo.

Terrone calabrese, non solo, arbereshe (comunità albanesi giunte in Italia per sfuggire alle persecuzioni dell’impero ottomano) ed ebreo, Pier mi ripeteva sempre che la sua capitale era Napoli, memore di una comune nazionalità preunitaria e la comune appartenenza ad una minoranza da sempre perseguitata.

Pierluigi, tiene l’arteteca (una certa insofferenza più vicina alla saudade sudamericana), e per placarla non sta mai fisso in un luogo soltanto, confidando nel sollievo che solo il viaggio può offrire (una volta è stato anche immortalato dalla macchina di un fotografo famoso).

Era più o meno Natale, quando era a Londra e riempiva la sua (e mia e di tutti i suoi amici) bacheca Facebook di post veramente tristi (abboffando anche un po’ la guallera). Allora gli dissi: ” Pierluì, ‘o frat, senti a me, vattene un paio di mesi a Napoli, è terapeutico”.

Da qualche settimana si è trasferito in un vascio del centro storico di Partenope ed ogni giorno racconta, con gli occhi del turista, l’insostenibile leggerezza, carica di follia, della quotidianità napoletana.

Quello che ha scritto ieri volevo condividerlo:

Mi ha sorpreso lo sguardo, gli occhi sgranati della mia cara compagna Isabella, venuta a trovarmi ieri sera per la presentazione del suo libro lunedi. Isabella, non e’ un’educanda vissuta nei collegi svizzeri e le cui uscite erano i balli delle debuttanti a Vienna. Tutt’altro. E’ una che nei 6 vissuti in Sud America ha insegnato ai guerriglieri nelle carceri, conosciuto personaggi incredibili. Eppure anche lei e’ stata colpita dal fascino di Napoli.
Ieri, subito dopo che e’ arrivata, doveva trovare un parcheggio per la sua auto. Gilda, si e’ data da fare, anzi ha preso e guidato la sua macchina e con lei sono andate a trovare parcheggio.
Piu tardi siamo andati in una pizzeria ‘mponde a Maddalena. Ed e’ li che ha potuto vedere la vera Napoli. Mentre a me, ormai dopo 3 settimane e’ diventata la realta’, capisco che per uno che proviene da un altro posto o dal profondo nord, puo’ essere destabilizzante. I camerieri, alcuni slavi, parlavano e si esprimevano solo in Napoletano. Fino a quando all’improvviso siamo stati accerchiati da un gruppo di Senegalesi con il costume tipico e i visi truccati con i tamburi. Cantavano canzoni tipiche dell’Africa finendo con Mama Africa, Mama Senegal, Mama Napoli. (Saltando l’Italia). Poi cantano l’inno dei tifosi napoletani con alcuni di loro che interrompevano con HIGUAIN SI NA LOTA e per finire con O ‘Sarracino di Carosone ed e’ li che tutti hanno iniziato a ballare. Quando chiedevano i soldi tra i tavoli era, ovviamente, in Napoletano stretto. Roba che se fosse stato presente salvini sarebbe morto d’infarto.
Andiamo poi a fare una passeggiata e notiamo un cumulo di cartoni, ben riposti, al centro di una piazzetta. Al ritorno vi erano 2 camion e molti netturbini che li stavano rimuovendo. Rassicuro Isabella con un: Isa qui non siamo a Roma, siamo a Napoli.
Oggi andremo al gaypride…spero che regga…lo shock..