Quegli imprenditori svizzeri che investirono al Sud prima del 1861: le manifatture cotoniere meridionali

immagine del cotonificio EGG tratta dalla rete

Una storia che mi era sconosciuta, scovata per caso sul sito della Swiss Broadcasting Corporation. Vi avevo raccontato già degli svizzeri che venivano in Campania a vivere o fare affari, quando gli svizzeri emigravano al Sud. Una presenza testimoniata anche da molteplici cognomi svizzeri ancora presenti in città.

Questa è la storia di Gian Giacomo Egg, un imprenditore elvetico che con il sostegno di Gioacchino Murat, nominato re di Napoli da Napoleone nel 1808, Egg fonda nel 1812 il primo moderno cotonificio del sud, nell’attuale Piedimonte Matese. Uno che, dalla Svizzera portò con sé, in quel Sud che appariva come “Affrica” dalle cronache dei militari piemontesi che giunsero qualche anno dopo, oltre cento famiglie svizzere. Lo stabilimento che Egg crea,  si sviluppa velocemente, fino ad impiegare oltre 1’000 operai.

Scrive Daniele Mariani:

Oggi a testimonianza di quello che fu un glorioso passato industriale rimangono solo alcuni fatiscenti edifici. I diversi progetti per la riqualificazione di alcune delle aree dove sorgono i vecchi stabilimenti delle Manifatture cotoniere meridionali, nella regione di Salerno, sono finora rimasti lettera morta.

Glorioso, come detto, poiché verso il 1887 l’industria tessile salernitana dava lavoro a oltre 9’000 persone e rappresentava una seria concorrente per le grandi manifatture del Settentrione.

A far decollare questo settore sono stati principalmente imprenditori svizzeri. Malgrado la distanza, i legami tra la Svizzera e il regno di Napoli erano antichi e dovuti principalmente alla presenza nella città dei Borbone di molti mercenari elvetici. L’impulso decisivo viene però soprattutto dal Blocco continentale (divieto d’attracco per le navi inglesi in qualsiasi porto dei paesi soggetti al dominio francese) decretato da Napoleone nel 1806, che ha spinto alcuni industriali svizzeri, confrontati alla mancanza di materie prime, ad impiantare le loro attività al di fuori dei confini patri.

Ed ancora:

Sulla scia di Egg, negli anni successivi, quando sul trono è tornato Ferdinando I, giungono in Campania altri imprenditori svizzeri: Davide Vonwiller, Federico Alberto Wenner, Carlo Schlaepfer…

«In Campania vi era una certa disponibilità di materia prima, poiché durante il decennio francese si era iniziato a coltivare il cotone, in seguito appunto al Blocco continentale. Le industrie si impiantano inizialmente nella valle dell’Irno a causa della presenza del fiume. In un secondo tempo nell’agro nocerino-sarnese. Inoltre proprio a Salerno vi era già un tradizione della lavorazione del tessile, non del cotone ma della lana», spiega Silvio de Majo, professore di storia economica all’Università di Napoli. Non va neppure dimenticato che vi è una volontà politica di attirare investitori stranieri. Murat, ad esempio, concede gratuitamente degli edifici per impiantare le nuove industrie.

Egg non fu il primo. Dopo di lui Davide Vowiller, elvetico anch’egli.

Il principale protagonista della fase iniziale di questa industrializzazione è soprattutto Davide Vonwiller, nato a San Gallo nel 1794 e inviato giovanissimo a Napoli, nel 1815, come rappresentante di una ditta svizzera di tessuti.

Aiutato dal protezionismo del governo borbonico, nel 1824 Vonwiller decide di saltare il fosso. Si associa al connazionale Federico Züblin e fonda una filanda a Fratte di Salerno.

Vonwiller è l’archetipo dell’industriale moderno, competente sia per quanto concerne l’aspetto industriale che per quello commerciale. «Può contare su una vasta rete di contatti con banchieri e commercianti tedeschi, inglesi e genovesi. Ciò gli permette di avere i capitali per fare arrivare le macchine e probabilmente anche di vendere la produzione», osserva Silvio de Majo. «Nei decenni successivi, quando nascono altre fabbriche, per quanto concerne l’aspetto commerciale tutto fa capo a Vonwiller». Il sangallese e i suoi soci abbozzano anche un modello di integrazione verticale: a Fratte di Salerno nascono così uno stabilimento di tintoria e stamperia, nonché un’officina meccanica, specializzata nella costruzione e riparazione di macchine per l’industria tessile.

Vonwiller muore nel 1856. I suoi funerali attestano dell’importanza dell’industriale svizzero: «Oltre ad una grande partecipazione popolare, vennero contate più di 50 carrozze che seguivano il feretro attraverso la città di Napoli», ricorda Elio Varriale nel saggio Svizzeri nella storia di Napoli (1998).

Secondo Mariani,  che cita quanto riferisce de Majo, nonostante l’Unità d’Italia e la conseguente adozione del liberismo piemontese, avessero colpito diversi settori tessili dell’ex Regno delle Due Sicilie, in particolare l’industria laniera, l’industria cotoniera svizzero-salernitana è invece risparmiata. Da un lato perché la guerra di secessione americana (1861-1865) interrompe le importazioni di materia prima d’Oltreoceano e favorisce così la produzione campana. Dall’altro per la disponibilità di capitali e la capacità di innovazione di cui hanno saputo dare prova gli industriali elvetici. Tanto che quella campana divenne un’azienda modello.

La parabola discendente e la conseguente chiusura fu essenzilmente dovuta ai conflitti bellici che si susseguirono e che, per volontà politica, costrinsero  la componente tedesca delle ditte tessili campane ad andarsene. Per ovvie ragioni linguistiche, il clima anti-tedesco non risparmia però neppure gli industriali elvetici.

La Banca d’Italia, come era stato già fatto per altri gioielli dell’industria meridionale, acquistò le quote degli opifici creati dagli imprenditori elvetici. L’inizio della fine, insomma, che puntualmente è arrivata.