Riotta, i giornalisti italiani e l’Expo: spigolature d’Aprile

Vi propongo delle interessanti spigolature di Pino Aprile sui temi “caldi” di questa settimana:

1 – Gianni Riotta spiega che è stato “inviato” pure in Iran (ah…, era l’Iran? Chissà cosa avevo capito su dove l’avevano inviato) e non gli è successo quel che è capitato a Napoli. Probabilmente, in Iran avrà fatto il giornalista come nella trasmissione dedicata a Milano, dove non si è accorto che l’Expo se la batte con il deserto del Sahara, per numero di esseri umani a chilometro quadrato; non si è accorto dei ritardi, delle opere incomplete e di quelle mai fatte, delle retate a gogò che hanno trasferito camionate di appaltatori e dirigenti da Expo e dintorni nelle carceri della zona. È andato in Iran a scegliere i tappeti da srotolare dinanzi ai suoi ospiti milanesi, per le sue più che perdibili “interviste di garanzia”? (Alcuni bravissimi giornalisti televisivi statunitensi usavano presentarsi in studio in maniche di camicia. Se qualcuno vuole avvisare Riotta che non basta togliersi la giacca per essere come loro, lo faccia con cautela: la sorpresa potrebbe procurargli conseguenze serie).

2 – I “grandi giornali” spendono le migliori penne per spiegare che bisogna risolvere il problema “fra magistratura e industria”, a proposito del processo per le presunte porcate dello stabilimento siderurgico di Taranto: 44 imputati fra manager, politici e varia umanità. E qual è il problema? Se alcune industrie se ne fottono delle leggi e fanno quel che gli pare, c’è rischio che qualche magistrato si ricordi che sta lì per far rispettare le leggi e non per evitare di dar disturbo all’industria che produce calpestando ogni norma. Il problema non è fra “magistratura e industria”, ma fra alcuni industriali e il codice penale. L’industria non avrebbe fastidi se rispettasse le leggi. Ma l’incredibile (a)morale di certi padroni di industrie e di giornali è che, se vengono presi con il sorcio in bocca, il governo (non importa quale: il caso Ilva dimostra che centrodestra o centrosinistra è uguale, magari si fanno prestare i tappeti da Riotta) vara norme di sartoria, cucite addosso a chi finisce nel mirino dei magistrati, per rendere a posteriori lecito quello che non lo è. Se i giudici insistono, ecco la prova che “hanno un problema con l’industria”. Chissà perché, quando i magistrati mandano in galera il ladro dell’auto degli editorialisti da pronto soccorso per “salvare la produzione”, nessuno scrive che la giustizia “ha un problema con il furto”.
Sono gli stessi, spesso, che a proposito delle inchieste su alcuni politici, scrivono che si rende necessaria un’opera di pacificazione fra magistratura e politica. Dimenticando che il primo passo, che renderebbe inutile il secondo, sarebbe la fine della guerra di certi politici al codice penale.
Forse fra i problemi da risolvere, in questo Paese, ce n’è uno davvero enorme (che ci pone in coda alla classifica mondiale della libertà di stampa): quello fra i giornalisti e i fatti, i giornalisti e la decenza. È chiaro che non sono tutti asserviti o con un codice morale ormai deviato; come non sono tutti corrotti i politici; né i magistrati tutti comprensivi a fini di carriera (basti vedere certi discutibili criteri meritocratici, diciamo così, del Consiglio superiore della magistratura, grazie ai quali, per dirne iuna, il dottor Nino Di Matteo non è abbastanza esperto di mafia, per far parte della Procura nazionale antimafia).
Ma se c’è una cosa di cui sono sicuro, a proposito del processo Ilva, è che di tutti i protagonisti (politici compiacenti, corrotti; industriali troppo sbrigativi e avidi, dirigenti pronti ad assecondare, a danno di tutti, meno che il proprio…), gli unici dinanzi ai quali mi toglierei il cappellino sono i magistrati di Taranto. Non so se c’è ancora un giudice a Berlino, ma a Taranto sì; il che dà ancora speranza che le leggi non siano scritte invano.

3 – Giuseppe Sala, commissario dell’Expo (ma dove li trovano quelli così?) ha spiegato, senza arrossire, senza che nessuno fosse ricoverato per sincope da eccesso di risata improvvisa o per crisi di vomito, che i numeri dei visitatori dell’Expo sono taroccati dal caldo, che manderebbe in tilt i contatori automatici (mai che accada con i contatori del gas, della luce, che stabiliscono quanto ci tocca pagare!). La tragedia dell’Expo sta diventando una costosissima barzelletta; Sandro Giacobbo, per Voyager, ha inutilmente cercato di scoprire quanta gente è andata (sia pure con biglietto gratis) all’Expo, poi ha vilmente ripiegato su altri misteri, riuscendo a portare in studio l’uomo delle nevi, lo Yeti dell’Himalaya, per una intervista, resa comprensibile a tutti, grazie alla traduzione istantanea fatta da un marziano rintracciato da Giacobbo su Astra Centauri (ecco un altro a cui piace vincere facile: dicci quanti sono i visitatori a Milano, invece di cavartela con queste sciocchezze e il quarto segreto di Fatima!). L’informativa del fantasioso pallonaro dell’Expo è rimasta parziale, però, perché non ci è stato detto nulla delle conseguenze del caldo sui neuroni dei dirigenti di Expo, né a quale temperatura vadano in tilt, come i contatori. In assenza di altre spiegazioni, per ora, tocca prendere per buona la possibilità che l’assenza di notizie a riguardo sia dovuta all’assenza di neuroni;

4 – …a proposito di Expo e informazione: non sarebbe corretto che i giornali e le reti televisive, persino quelle pubbliche, in apertura dei loro servizi (smettetela di ridere) sulla Fiera, avvisassero: questo giornale, questo editore, questa rete tv hanno preso tot soldi da Expo, a questo titolo? Così, giusto per sapere.