Si uccide sempre meno in Italia. Ancor meno al Sud (nonostante i media)

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Tira più un omicidio raccontato in un talk che un carro di buoi. E tira ancora di più se l’omicidio è stato commesso al Sud.

La realtà è ben diversa e racconta di un calo sempre crescente degli omicidi in Italia, con riduzioni forti soprattutto in quel Sud lombrosianamente inteso e considerato come un inferno pieno di diavoli che si divertono ad uccidersi a vicenda.

La ricerca è stata pubblicata a firma di Marzio Barbagli su LaVoce.info:

[…]La notizia è che, nel 2015, il numero di omicidi commessi nel nostro paese è diminuito ancora, passando dai 475 dell’anno precedente a 468. E d’altra parte è dal 1992, ovvero da ventitré anni, che il tasso di questo reato ha conosciuto una continua e apparentemente inarrestabile flessione, arrivando ora a 0,80 per 100mila abitanti (figura 1).
Il calo ha riguardato tutte le forme di omicidio: di criminalità organizzata, legato a furti e rapine, commesso per liti, risse e futili motivi o per passioni e conflitti fra familiari. Così oggi l’Italia ha il tasso più basso di questo reato della sua storia recente e passata (figura 1). Il più basso dell’ultimo secolo e mezzo, perché, subito dopo l’Unità, era di 6,8 per 100mila abitanti, otto volte e mezzo maggiore di quello attuale. E a ben vedere anche il più basso degli ultimi sei secoli, perché nella prima metà del Quattrocento era di 62 per 100mila abitanti, secondo una stima fatta da storici seri e rigorosi in base a una buona[…]

La terza idea ha a che fare con le differenze e le diseguaglianze territoriali. Il dualismo Nord-Sud, lo sappiamo bene, è una caratteristica strutturale dell’economia e della società italiana. Considerato nell’arco di un lungo periodo di tempo, il divario fra le regioni centro settentrionali e quelle meridionali e insulari è diminuito per certi aspetti (la salute e la speranza di vita, l’istruzione), aumentato per altri (il Pil pro capite). Dal 2008 a oggi, durante gli anni della crisi, le differenze sono ulteriormente cresciute per quanto riguarda il tasso di occupazione delle donne, quello dei giovani diplomati e laureati, la percentuale di famiglie in povertà assoluta. Non altrettanto si può invece dire per l’andamento del tasso di omicidi: nell’ultimo quarto di secolo, è diminuito in tutte le regioni italiane, salvo che nel Molise dove è sempre stato particolarmente basso (tabella 1). La flessione è stata molto forte anche nelle regioni settentrionali più avanzate – in Piemonte, in Lombardia, in Liguria, nel Veneto, in Emilia Romagna – dove si è ridotto di due terzi. Ma ancora più forte è stata la riduzione in quelle meridionali. In Campania, oggi, il tasso di omicidi è quasi un quarto rispetto al 1991, in Calabria un settimo, in Sicilia addirittura un decimo. Il divario fra il Sud e il Nord è dunque diminuito, in modo considerevole. Se nel 1991 nel Mezzogiorno ci si uccideva 5,4 volte più che nel Settentrione, oggi lo si fa 2,2 volte di più (figura 2).

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La letteratura scientifica internazionale è sostanzialmente d’accordo nell’attribuire diminuzioni così forti della violenza omicida all’affermazione dello Stato, della sua capacità di detenere il monopolio della violenza legale, della sua legittimità e all’interiorizzazione, da parte dei cittadini, dell’imperativo che non ci si può fare giustizia da soli. Questa ipotesi può aiutarci a capire cosa è successo, e sta succedendo, nel nostro paese.[…]