Sud, abbandonato a se stesso ma generoso con gli altri

di LINO PATRUNO

La situazione è questa. Chissà come e quando si riuscirà a fare un governo. Si teme di dover andare di nuovo a votare lasciando il Paese ai negozi che scompaiono, ai fallimenti delle imprese, alla gente che va a mangiare alla mensa comunale, al pianto di chi ha perso anche la dignità, ai suicidi di chi non ce la fa. Un giovane su tre non lavora. Il rischio che Cipro sia costretta a uscire dall’euro per l’ennesima idiozia dell’Europa sta allarmando anche l’Italia dei piccoli risparmiatori.

Per fortuna la gente scoraggiata riacquista un po’ di fiducia grazie a papa Francesco che promette primavera: ma è solo un cerino per riscaldarsi.

Figuriamoci se, in un clima del genere, qualcuno alza il dito e dice: ma di Sud, non parliamo? Per favore, non disturbi.

Eppure solo pochi giorni fa il Censis lo ha descritto come “abbandonato a se stesso”. Con 300mila posti di lavoro persi in pochi anni: come trecento Bridgestone che avessero chiuso. Con un divario verso il Centro Nord che aumenta invece di diminuire. Con una famiglia su quattro povera: una ogni due piani di un condominio. Con un reddito addirittura più basso di quello della Grecia: addirittura. E una classe dirigente non solo incapace di disturbare, ma “rinsecchita” (come dice De Rita, presidente dello stesso Censis).

Quanti meridionali ci sono fra gli attuali leader politici? Berlusconi è di Milano, Monti di Varese, Bersani di Piacenza, Grillo di Genova. Resta Vendola, ma ha il 3 per cento e neanche lui sa ancòra bene che fare da grande fra Roma e Puglia. Mentre gli stessi meridionali, specialisti nel farsi del male, continuano a dire: eh, ma noi li abbiamo avuti i capi di governo e non ne abbiamo saputo approfittare. In 152 anni di unità d’Italia, solo per 25 anni un sudista primo ministro: se qualcuno si accontenta, festeggi pure.

Soprattutto, Sud non solo assente dai pensieri, dai dibattiti tv, dai programmi dei partiti, dalle cose urgenti da fare, dai tre o otto punti prioritari. Problema del Sud come “grande fallimento collettivo”, ha arrischiato recentemente a scrivere il maggior giornale italiano in un momento di distrazione. Ma Sud molesto e pernicioso: se non ci fosse, si è convinti, l’Italia sarebbe una Germania. Senza il minimo sospetto che l’Italia sarebbe la Germania se il Sud ci fosse a pieno titolo, non il contrario. E che, tanto per fare un esempio, l’Asia sta diventando un colosso non grazie al ricco e stremato Giappone, ma grazie agli ex poveri Cina e India.

E però, con tutti i soldi che diamo al Sud. Neanche un euro, e da tempo. Solo fondi europei, che tuttavia non si aggiungono ma sostituiscono la spesa che dovrebbe fare lo Stato. Anzi, chi lo sa? Dei 550mila progetti di “coesione” europea fra il 2007 e il 2013, oltre il 73 per cento sono andati al Centro Nord, solo il resto al Sud: incredibile ma vero. E “coesione” significa riduzione delle differenze, non aumento. Dice: ma il Sud li utilizza per fare rotonde e marciapiedi, non grandi opere. E’ vero, perché nessuno va a vedere che il Friuli li utilizza per diffondere le “tecniche di tatuaggio artistico”.

Fatti bene i conti, è il Sud povero a sostenere il Nord ricco, visto che in questo momento riceve dallo Stato meno di quanto paga in tasse. Visto che anche con le sue tasse, si pagano interessi a chi al Nord ha titoli pubblici (Buoni del tesoro e compagnia). E visto che con gli utili delle banche al Sud ingrassa le fondazioni bancarie al Nord.

Sono solo esempi, magari incredibili per gli stessi autocritici meridionali: ma in tempi di Internet, tutto verificabile con un clic sul sito giusto. Altro che 75 per cento delle sue tasse che la Lega Nord vorrebbe trattenere a casa sua, e che già più o meno trattiene. Dovrebbero rinunciare alla spesa dello Stato, pagarsi ospedali e bus, e non gli conviene. Tranne che non vogliano l’uno e l’altro, nel rinsecchimento (appunto) della classe dirigente meridionale, disinformata e incapace di reagire.

E tuttavia, chissà che non venga proprio dal vituperato Sud l’esempio opposto alla sua nomea. Come dalla Sicilia, sempre additata per i suoi sprechi, senza andare a vedere cosa avviene nelle altre regioni a statuto speciale del Nord. Ma Sicilia che abolisce le sue province mentre in campo nazionale si è sempre fatto solo finta. Con la sospensione delle elezioni già previste per maggio. E province da sostituire con liberi consorzi di Comuni che mettano insieme i servizi, dagli asili all’assistenza domiciliare per gli anziani, riducendo le spese e aumentando l’efficienza.

Vedremo come finirà. Resterebbe comunque la conferma che, a onta dei pregiudizi, c’è un Sud che funziona (o tenta di funzionare) e un Sud che non funziona. Come tutta l’Italia. Solo che il Sud è Sud, e tanto basta per crocifiggerlo.

FonteGazzetta del mezzogiorno