#SUPERCOPPA: a Doha lo spirito di una città. ‘O napulitan se fa sicc ma nun more

Ve lo confesso. Dopo il gol di Tevez nei tempi supplementari e l’urlo dei vicini di casa juventini, ho spento la Tv e mi sono spostato a guardare una fiction tedesca che si chiama “Tempesta d’amore 4” (o forse 8?), dove gente vestita come Heidi si manda a fanc**o per delle idiozie.

Ecco, con lo stomaco in subbuglio attendo l’urlo definitivo della famiglia del piano di sopra. Passano 5 minuti. Un quarto d’ora. Nulla. Mi sposto su un canale all news alla ricerca di “A Doha Tevez porta in trionfo la Juve” o sottopancia del genere, come, tra l’altro, ha realmente fatto uno di quei sitarielli napoletani che cercano di fare autorevole informazione, per una mancanza di prudenza o eccessivo pessimismo. O per guadagnarsi i soliti click prima degli altri.

Insomma tutto tace. Mi sintonizzo nuovamente su Rai 1 dove uno sconcertato Tardelli commenta l’inizio della lotteria dei rigori, mentre scorrono le immagini del gol di Higuain allo scadere.  Non ce la faccio. Cerco ancora Tempesta d’Amore, così rassicurante, dove continuano a scazzarsi sfrecciando su macchine tedesche, sulle coste di un lago frequentato da ricconi.

Di nuovo la famiglia juventina esulta, poi ancora una volta, prima di una sequela di bestemmie tipiche dell’Italia centrale, dove l’urlo contro il cielo viene usato come intercalare più che come reale offesa al Padreterno o ai santi del calendario. Passano altri 5 minuti prima di essere fagocitati da un nuovo assordante silenzio. Spengo la tv, pure i tedeschi della telenovela se ne sono andati.

Decido di seguire gli umori della gente sulla mia bacheca Facebook. Leggo di un capodanno anticipato a Napoli. Leggo Napoli a caratteri cubitali e la condivisione della canzone dei 99 Posse, Napoli ovunque:

Città dimenticata sfruttata abbandonata
da tutti disprezzata ma a Agnelli c’è piaciuto
‘o lavoro ‘e l’emigrato pacche scassate
famiglie disgregate e a Torino Milano
napulitano terrone e ignorante
magnate ‘o sapone lavate cu l’idrante
e tuornatenne a casa felice e cuntento
ce he fatto fà’ ‘e miliardi e nun he avuto niente

Riaccendo la tv ed in preda alla solita crisi mistica stampata innanzi agli occhi, l’immagine di Rafael in slow motion che ringrazia gli dei del pallone.  Avevo 12 anni, giocava Careca in attacco  l’ultima volta.

Ieri sera in campo non c’erano i miliardari svogliati e viziati di alcune partite precedenti, ma lo spirito di una città. Una monade che aleggiava da Partenope fino alla fine del mondo, passando per Doha, dove incidentalmente, ma non casualmente si è manifestata. “‘ O ‘Napulitan si fa sicc ma nun more”, la gente di Napoli, avvezza a sciagure e disgrazie di ogni risma, riesce sempre ad adattarsi. Si sacrifica, ma resiste. Come chiunque viva sul mare in attesa di nuovi sbarchi, che non sai mai di cosa siano realmente forieri.

Due volte all’inferno, due volte in paradiso, prima della redenzione finale. Ieri eravamo su quel pallone scagliato da Padoin verso Rafael (che a volte ricorda il buon Soviero quando parla da solo durante il match), peccatore recidivo di tante partite, verso cui abbiamo imprecato. Ieri sera il portiere brasiliano è diventato finalmente cigno e ci ha portato in Paradiso. Dopo 24 anni, insieme alla coppa che sulla comoda poltroncina in pelle dell’aereo che l’ha portata a Napoli sembrava commentare: “A Torino? Manc e ‘can”

Articolo pubblicato per Il Napulegno