Viesti: così il Sud perde Università e laureati

In un articolo molto interessante pubblicato due giorni fa su Il Mattino, il professor Gianfranco Viesti fa un’ottima analisi sullo stato delle università meridionali e sulle cause del calo del numero di laureati al Sud:

Negli ultimi anni la condizione del sistema universitario italiano, e in particolare meridionale, è profondamente cambiata. Per tanti versi in peggio: meno risorse, meno docenti, meno studenti. A seguito della crisi, ma ancor più di una giungla quasi inestricabile di disposizioni normative, si sono determinate tendenze molto pericolose; con effetti distorsivi territoriali molto forti a danno del Sud. Sono state prese decisioni politiche importanti: ma le si è mascherate dietro norme apparentemente tecniche, dietro la parola d’ordine di una “meritocrazia”, estremamente discutibile nelle sue finalità e nei suoi strumenti. E i meccanismi che hanno determinato questi cambiamenti sono pienamente all’opera: di qui a qualche anno vi è un chiaro rischio che non poche università italiane, particolarmente – ma non solo – al Sud, vedano la propria offerta formativa contrarsi ai minimi termini, fino, forse, a scomparire. Le esortazioni del governatore Ignazio Visco, sull’importanza fondamentale dell’istruzione nel mondo contemporaneo (e ancor più del futuro) si scontrano con la realtà di un paese che sta pesantemente disinvestendo sull’università, in particolare nel Sud.

Scrive Viesti, che aggiunge:

L’università è un’ascensore sociale fondamentale. Ma il quadro peggiora, invece di migliorare. In tutta Italia si sta riducendo la percentuale di diplomati che si iscrive all’università. Ma di più al Sud: il tasso di passaggio dal diploma è 52% in Italia, 49% al Sud, 46% in Campania. Questo fa il paio con tendenze demografiche sfavorevoli (mentre al Nord aumentano i giovani grazie agli immigrati), determinando un vero crollo delle immatricolazioni: al Sud si passa dai 128.000 giovani che si iscrivono (in qualunque sede) nel 2007-08 ai 101.000 dello scorso anno; fra i giovani campani si scende da 37.000 a 30.000. Quel che è più grave è che la rinuncia all’università (documenta la Banca d’Italia) è più forte per le famiglie meno abbienti del Mezzogiorno, che – per motivi economici – non sono più in grado di investire nell’istruzione dei propri figli.

Le cause si inseriscono in un quadro di disincentivo dell’investimento puibblico al mezzogiorno:

Le università ricorrono così in modo massiccio a finanziamenti di terzi: con una situazione balcanizzata in cui le risorse, e le opportunità di sviluppo, dipendono dalla munificenza di Fondazioni o di Regioni a Statuto Speciale; ma sono ovviamente molto minori nelle regioni più deboli: le entrate da terzi (rapportate agli studenti) sono nelle università del Sud la metà rispetto al Nord. E ricorrono in modo massiccio alle tasse. In Italia si è passati da norme che miravano a limitare l’ammontare delle tasse a disposizioni che premiano le università che più incassano dai propri iscritti. Uno dei tanti casi di scelte politiche mascherate da norme tecniche. Ora, le tasse universitarie sono più basse al Sud che al Nord: ma se tenendo conto del potere d’acquisto le differenze si riducono moltissimo; rispetto al reddito in Campania la tassazione è più elevata che nella media nazionale. Ma il minor gettito in termini assoluti determina difficoltà di finanziamento; e, paradossalmente, la “punizione” di minori possibilità di assumere docenti, perché il gettito delle tasse è uno dei criteri di “merito” delle università. A fronte di questo chi studia nel Mezzogiorno dispone di strutture peggiori, di meno mense, di meno posti letto (541 in Campania contro 7263 in Lombardia). Le borse di studio in Campania, come in molte altre regioni del Sud, coprono meno della metà degli aventi diritto, contro valori prossimi al 100% nel CentroNord.