A Crotone gli stipendi sono più alti che a Milano: chiamate un dottore

La scorsa settimana sono apparsi sui giornali, non tutti la notizia era talmente sensazionale che alcuni se ne sono guardati bene dal diffonderla, considerati più autorevoli di questo paese, delle dottissime analisi che tendevano a dimostrare come a Crotone, ad esempio, gli stipendi siano più alti che in una città del ricco Nord. L’invito finale: mettiamo le gabbia salariali al Sud perché questi in fondo in fondo stanno bene. Ve la racconto così, brevemente. Roba che quando l’ho letta ho davvero rischiato il coccolone per i sensi di colpa che mi hanno assalito.

Anche Pino Aprile ha ripreso con verve e sagacia la questione. Definisce l’analisi un “infortunio professionale” di alcuni illustrissimi colleghi et professori (Boeri, Ichino e Moretti).

“Una stupidaggine (Aprile usa un termine più efficace,ndr) può capitare a tutti” – esordisce il giornalista pugliese che così prosegue – “sbagli qualcosa e te la ritrovi. Un mio amico cabarettista faceva un numero irresistibile:ti intortava per venti minuti, arrivando a sostenere “logicamente” che Crotone è più ricca di Milano”.

Insomma se si arriva a certe affermazioni discutibilissime (queste insieme ad altre) e le si conferisce il crisma delle scientificità, un motivo ci sarà.

Quindi inizia l’analisi di Pino Aprile:

Quanto grande deve essere questo motivo, per offrire la facciata della fondazione che porta il nome di famiglia, Debenedetti, alle palate di disgusto che non potranno non arrivare se quella è la qualità dell’offerta scientifica? Quanto grande deve essere il motivo, se la corazzata della Confindustria, il Sole24ore, si fa veicolo dell’improponibile (salvo ritirarlo dal sito, senza una parola di spiegazione)?
Tutti superficiali? L’ho pensato, all’inizio: si è così abituati ad accettare qualsiasi sciocchezza, non importa quanto improbabile, se a danno del Sud, che se il risultato è questo, anche se ci si arriva attraverso una tale “ricerca”, la cosa è credibile.

 

L’autore di Terroni quindi prosegue:

Comincio a sospettare che ci sia una volontà o una serie di volontà, non necessariamente organizzate, ma convergenti. Il blocco di potere che ha in pugno il Paese da un secolo e mezzo forse ha deciso che i capricci del Sud non sono più ammissibili: vorrebbero, ‘sti terroni, che si riscriva la storia, raccontando come è stato unificato il Paese; non accettano più le presunte verità decise da altri per loro, cioè che il Sud è sempre stato più povero, e insistono perché si tenga conto dei dati (di Banca d’Italia, Consiglio nazionale delle ricerche, Fondo monetario internazionale, dipartimento di economia dell’università di Bruxelles) che dimostrano il contrario; pretendono di far passare Pontelandolfo per un massacro della popolazione civile e non per una vittoria di prodi bersaglieri sabaudi contro briganti; rompono con questa storia dell’equità nella spesa pubblica, negl’investimenti per le infrastrutture; si sono messi in testa di aver diritto al treno per Matera e addirittura all’alta velocità; vogliono essere trattati come i bianchi, queste “merdacce mediterranee”, ‘sti “topi da derattizzare”; persino chiamano ladri i “facilitatori di appalti” dell’Expo di Milano, del Mose di Venezia, gli acquirenti di mutande verdi con soldi pubblici e vorrebbero sapere come mai i sindaci della città più dissestata d’Italia, Torino, sono proposti a esempio di amministrazione pubblica (prima Chiamparino, poi Fassino) , quali presidenti dell’Associazione nazionale dei Comuni…
Quando tali fermenti terronici cominciarono a dilagare, inattesi, lorsignori rimasero disorientati, pensarono che la cosa fosse sgradevole (proprio negli anni delle celebrazioni dell’Unità), ma passeggera. Invece non passa, cresce. E ora fanno paura, questi sentimenti, se il presidente della Repubblica deve mandare un messaggio a Pontelandolfo, chiedere scusa a nome dell’Italia, “per un massacro relegato ai margini della storia”; se tanti italiani onesti del Nord e del Sud si incontrano oltre le bugie e rimproverano alla cultura ufficiale di aver nascosto, mentito, intitolano una strada a Pontelandolfo a Vicenza, cancellano via Cialdini a Mestre.

Ed ancora:

Quei gruppi di potere, superato il primo sbandamento, capito che questa nuova consapevolezza non è un fenomeno effimero, si riorganizzano e “rimettono le cose a posto”: hanno mezzi, per farlo, uomini disponibili, per convinzione o interesse, o entrambe le cose, anche nelle istituzioni. E allora, ecco l’ostracismo sugli organi di informazione, dall’etere alla carta, per chi alimenta questi malsani sentimenti terronici; per chi, nelle università, esce dai limiti assegnati; ecco una inedita produzione di testi a opera di “nativi” (tanto più sostenuti, quanto più ignorati dal pubblico), pronti a dire che è colpa del Sud, se è rimasto indietro; che Lombroso non era razzista né antimeridionale; ecco un’enciclopedia su quanto rubano i meridionali (solo per aiutarli a emendarsi), mentre si scoprono ruberie miliardarie da Genova a Torino, a Milano, a Venezia; e se un tifoso napoletano è ammazzato a colpi di pistola da un delinquente che non c’entra niente con la partita, si indaga sulla vittima, che è di Scampia (sfortunatamente onesto, di famiglia che sembra inventata per quanto è perbene).

E così conclude il suo intervento Pino Aprile:

Sì, ha ragione un mio bravo e coraggioso amico: lo scontro non è più culturale, scientifico, ma politico, a uso di una economia ormai sorpassata e in disfacimento, quella del Nord (a Sud morì fucilata: dai bersaglieri, vedi Pietrarsa), incapace di capire che il sistema con cui ha prosperato per un secolo e mezzo, non funziona più: al Sud ormai non è rimasto quasi nulla da rubare e il modello tangenti/appalti di Stato/aziende “private” di nome, ma di fatto sovvenzionate non regge più. Non ci sono più frontiere a difendere i produttori assistiti; la moneta è unica e non si può più svalutare; è in corso un cambio di civiltà (da industriale a informatica) e chi ne resta fuori è l’Italia, con un comparto imprenditoriale che non coglie il nuovo e brucia i risparmi del Paese per allungare l’agonia delle sue ormai vuote cattedrali padane.

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