Anche io, profugo, venni dal mare

Immaginate che un giorno, tornando a casa da scuola o da lavoro, trovaste una colonna dell’esercito e i vostri concittadini, compresi genitori e parenti che, raccolto l’essenziale in grossi lenzuoli (le mappate), vengono sgomberati dalla città in cui vivono.

foto l’Iiniziativa

Immaginate che, a distanza di quasi 50 anni nessuno si sappia ancora spiegare perchè ciò sia ragionevolmente avvenuto. Immaginate che neanche il sindaco d’allora fosse stato avvertito. Immaginate che il cuore della città diventi un quartiere fantasma, senza identità.

Immaginate che costruiscano delle new town qualche chilometro più in là, roba da edilizia sovietica, quartieri dormitorio nel cui progetto hanno mangiato tutti.

Immaginate infine che il luogo sgomberato, apparentemente senza motivi di pericolo imminente, diventi attrattivo (a tal punto che la Merkel chiede espressametne di visitarlo privatamente) del valore inestimabile. Tanto da spingere l’avvocato Agnelli, nel corso degli anni 80, ad avanzare una proposta che i cittadini, con manfiestazioni di piazza rinviarono con decisione al mittente: “Compvo tutto io”.

A Pozzuoli, privatane con un incomprensibile atto di forza, per 50 anni, dalla scorsa settimana è stata restituita una parte della propria identità. Di quella rocca fondata 531 anni prima della nascita di Cristo, da profughi di Samo.

Gente che arrivava dal mare. Cui nessuno chiese nulla, se non l’idea e il pensiero che recavano con sè. La chiamarono CIttà del Governo dei Giusti, in contrapposizione alla tirannide da cui provenivano. Corsi e ricorsi storici che insegnano poco, a chi non vuol capire.

Ho vissuto parte di quell’esodo, quello più recente, il secondo, agli inizi degli anni 80,  da bambino emigrante, che guardava quella rocca fantasma come quei luoghi che narrano le fiabe. Fantastico ed inaccessibile.

E, dopo averlo visitato per la prima volta, non posso che associarlo ad un luogo di fiaba. Tra i vicoli stretti, le case dai colori delle città di mare, l’architettura mediterranea fino all’unico esempio al mondo in cui cristiano e pagano si toccano e convivono senza una netta soluzione di continutà. Il tempio di Augusto o Duomo, dipende dai punti di vista e dalle sensibilità dell’animo.

Pagano nella prima parte, quella candida, di marmo, quella che si vedeva sin dal mare, con le colonne rastremate ed i blocchi che hanno resistito ai moti della terra ed a quelli umani.

Barocco, generoso,artisticamente eccessivo nella seconda parte. A memoria delle vicende che dalla civiltà classica fino agli spagnoli hanno accompagnato una terra morta e sepolpa più volte, sotto le ceneri della lava. Forte proprio come quella eroina puteolana, altrimenti detta “la pazza”, cantata anche dal Petrarca, che da sola riusciva a mettere in fuga i pirati che venivano dal mare.

E il tempio è solo l’immagine di una rocca costruita su più strati. In cui ogni abitazione, nasconde il cuore di precedenti colonizzazioni. Sino a quelle più antiche. Le viscere sono le vecchie arterie coi lastroni di pietra che dal mare, nel rigurgito della rocca di tufo, conducono sino alla vetta. Perchè non fu escluso nè distrutto quanto i coloni precedenti avevano portato. Sino ai giorni nostri.

Sono rimasto a guardare quel mare, scuro, nella notte, col frontone del tempio alle spalle, lo stesso che hanno solcato dei profughi con quei barconi, oltre a Paolo di Tarso, anche lui profugo , svariati secoli fa.

E’ la terra che fa l’identità e l’appartenenza. Non l’uomo.