Caro Galasso, il sud divenne inferno per molti e paradiso per pochi

Cambia il direttore ma non il ritornello, puntuale continua la polemica tra il professor Galasso, dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno e chi, tra giornalisti e scrittori, conduce una battaglia sociale di civiltà per difendere le ragioni di un Sud sempre più alla deriva ed incluso (in malafede?), per questo, in un unico calderone dove, per l’illuminata pigra intellighenzia napoletana, confluiscono: “suddisti, neoborbonici e leghisti meridionali”.

Così Pino Aprile risponde a Galasso:

Ha proprio ragione, professor Giuseppe Galasso: “ovunque”, lei scrive, anche nella storia, “la moneta cattiva espelle la moneta buona”: infatti, a noi la storia l’hanno raccontata e la raccontano quelli che da un secolo e mezzo ci dicono che il Regno delle Due Sicilie era poverissimo, rispetto al resto d’Italia. Non è vero, è stato stra-dimostrato, da Banca d’Italia, Consiglio nazionale delle ricerche, università di Bruxelles, dalla più alta autorità scientifica dela Banca mondiale. Ma se osi dirlo, sei “fantasioso nostalgico” dei Borbone (e perché, non si può essere repubblicano e anarcoide, ca nun ce ne fotte d’o rre Burbone, e dirlo lo stesso, solo perché è vero?).

Curiosamente, Galasso non dà del nostalgico borbonico a uno dei suoi guru, John Anthony Davis, dell’università del Connecticut, che dice la stessa cosa. Perché, prof, perché? Se non l’ha letto e tace, è grave; se l’ha letto e finge, è peggio.

Tanto la moneta cattiva scaccia la buona, pure nell’insegnamento della storia, che i patriarchi delle cattedre distribuite per fratellanza (non solo genetica) e nipotanza, raccontano ancora oggi dell’arretratezza del Regno delle Due Sicilie. Che fu inventata da Benedetto Croce (non se la pigli con me, professore, io ero di innocente ignoranza, poi l’ho scoperto in “Napoli e Napoleone”, sempre di Davis: lei è riuscito a darci uno sguardo? Innocente ignorante pure lei o colpevole consapevole?).

La correttezza di alcuni baroni della nostra “storia ufficiale” (non piace a lorsignori che si dica; però, ammettendo come legittima solo quella che narrano loro, scegliendo bene cosa e soprattutto cosa non, ne deriva una distinzione fra quella di una parte dell’accademia e quella dei cafoni fuori le mura), la correttezza di taluni di loro è tale che insegnano ancora come vere, ai poveracci loro studenti, le famose lettere diffamatorie di Lord Gladstone, ignorando (o volendo ignorare) che lui stesso le sconfessò, caduto il regno di Napoli e che prima di scrivere quelle porcherie al soldo dei monopolisti britannici dello zolfo siciliano, aveva scritto un altro rapporto in cui diceva (gratis) il contrario (lo dice pure Davis, professore. Mi sa che lei ci deve dire se l’ha letto o no).

Pensate che i nostalgici borbonici parlano di “conquista piemontese”! E i deputati del Nord che usavano la stessa espressione in Parlamento, inutilmente pregati di non farlo più dal loro collega siciliano Giuseppe Bruno, nella seduta del 29 maggio 1861, di cosa erano nostalgici?

Persino, questi nostalgici, parlano di rapine, violenze, accusa il professore. E qui, devo dire, caro Galasso, la capisco: come si fa a distruggere un silenzio rigorosamente protetto per un secolo e mezzo? Avevate fatto di tutto per non farcelo sapere, poi, i soliti nostalgici non si sono fatti i cavolacci loro e si sono messi a blaterare di paesi rasi al suolo, come Pontelandolfo e Casalduni, stupri, saccheggi, torture, fucilazioni a go-gò! “Fantasiose ricostruzioni”, le bollò un suo altrettanto autorevole collega.

Si dimenticò di ripeterlo all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che inviò un messaggio a Pontelandolfo, per chiedere scusa a nome dell’Italia, “per un massacro relegato ai margini dei libri di storia”. Provi a indovinare chi li aveva scritti quei libri. Le do un aiutino: non i nostalgici borbonizzanti.

Quanto allo sfruttamento del Sud, al trasferimento, allora come ora, di risorse al Nord, altra sciocchezza da nostalgici, mi pare di aver letto qualcosa sul fatto che avvenne, e che avviene ancora tanto, che si rischia di dover dare ragione a quei nostalgici. Provi a ricordare chi può averlo detto, professore. Forse, per trovarlo, non deve manco uscire di casa…

E, comunque, di cosa si preoccupa? Questo fatuo, vacuo movimento culturale non ha respiro e basi, a suo giudizio, per sostenere una conseguente ricaduta politica. E quindi, se questo era il problema, è risolto; perché si agita?

E poi mi cita la Lega Nord, che per essere stata padrona del governo per tanti anni, tenendo sotto scacco Berlusconi, e per contare tuttora tanto, secondo il suo ragionamento deve avere basi culturali profonde e ampie. Infatti: hanno recuperato elmi cornuti e possono vantare il primo studente al mondo che sia riuscito prima a laurearsi (persino all’estero, in Albania) e poi a diplomarsi in Italia, sia pure al quarto tentativo e con preoccupato intervento dell’allora ministra all’Istruzione, forse appartenente allo stesso cenacolo culturale.

Eppure (professore, guardi che se ci montiano la testa, è colpa sua), questa nullità borbonizzante avrebbe nientemeno che “forza erosiva e corrosiva dell’idea nazionale italiana”, sarebbe per l’Italia “un danno sicuro” e persino “un indebolimento in Europa”. Glielo posso dire e non si offende, prof? È irritante la sua sottovalutazione del potere borbonizzante: perché non ci dice niente dei disastri che potrebbe provocare in Cina?

Infine: a riprova che l’Unità fu vera (come no, me ne sono convinto andando in treno a Matera e con l’autostrada a Reggio Calabria e da Catania a Palermo), cita una lunga serie di meridionali che si sarebbero “ben sistemati” nel nuovo Paese sorto da annessioni a mano armata. Ecco, lasci perdere le borbonate, i paradisi la cui invenzione attribuite ad altri, quando vi ricordano i famosi “primati” che smentiscono il Regno del Nulla, quello sì, inventato (da voi)…; lasci perdere.

Il guaio sono proprio quei meridionali che si sono sistemati bene, guadagnando posizioni e privilegi a danno “di una parte del Paese“, quella da cui venivano. E si tratta, spesso, di uomini di grandissima levatura, la cui colpa (non le chiedo di condividere il mio punto di vista) cresce proprio con l’altezza delle loro doti: la feroce epurazione della scuola fatta da Francesco De Sanctis che disgustò persino Giovanni Gentile? Gli aggiustamenti della storia di don Benedetto, che non ci disse dei massacri quello che c’era da dire, nonostante (o proprio per questo) gli avesse fatto da padre Silvio Spaventa, il più scatenato della repressione e nella negazione di diritti di italiani che non volevano saperne di diventare piemontesi (come disse Carlo D’Azeglio).

Per carità, la storia è il posto del sangue e della violenza. Forse non c’è altro modo per unire (mi piace continuare a credere che un altro ci sia); e unire l’Italia, l’Europa, il mondo è un bene: passare dalle pallottole di Cialdini agl’insulti di Salvini è pur sempre un miglioramento.

Ma non crede, caro Galasso, e adesso non scherzo più, che se nascondere la verità ed espungere il peggio che potrebbe far male ancora, ha prodotto questi risultati, dirle invece tutte le cose, belle e brutte (per le prime, già fatto, mi pare, persino esagerando) potrebbe finalmente mettere gli italiani nella condizione di riconoscersi e apprezzarsi alla pari? Con la storia dei meridionali, pure i Borbone, sì, pure i Borbone, e dei veneti, dei papalini, dei siciliani… che diventa condivisa, di tutti, “propria” a Venezia, a Palermo, a Roma, a Napoli?

Una cosa, però, sul piano personale, vorrei dirgliela: chi non ha ancora condannato il proprio silenzio, non è credibile quando critica gli errori di chi, pur oppresso dalla propria modestia, ha tentato di infrangerlo.