Cento milioni di euro di danni all’agroalimentare campano, chi ci ha guadagnato?

Raccontavo proprio ieri, dati Eurispes alla mano, del boom delle agromafie nostrane che hanno macinato utili, nel 2014, nonostante la profonda crisi economica a dimostrazione del fatto che in Italia il settore agroalimentare è strategico e, in particolare, è una delle due gambe su cui si muove, insieme al Turismo, l’economia della Campania (o almeno era).

Lo era perchè nonostante i suoi 500mila ettari di superficie agricola (come Catalogna e Puglia), il comparto dell’agroalimentare campano ha subito, negli ultimi anni, un danno economico di oltre cento milioni di euro.

Dalla mozzarella ai pomodori, passando per le cipolle ed il caffè, un intero settore è stato messo alla berlina da una serie di scandali e da azioni mediatiche (secondo qualcuno create a tavolino) che gli hanno sottratto importantissime fette di mercato. Basta l’immagine, virale sui social network, di un limone malformato perchè affetto da un comunissimo parassita, a paventare, anche quando non occorre, l’incubo incombente sulla salute, proveniente dalla Terra dei Fuochi e a suscitare la psicosi del consumatore che, con le sue scelte, filtrate da una comunicazione artefatta, manda al macero prodotti sicuri e mette in ginocchio aziende sane.

Se ne è occupato ieri Luciano Pignataro dalle pagine de Il Mattino mettendo in evidenza un episodio emblematico:

Esemplare la vicenda di Gaia, principale azienda produttrice di Cipolle di Montoro in provincia di Avellino, un territorio a oltre 60 chilometri dall’area a rischio, esportatrice in Germania di prodotti bio di quarta gamma. Ebbene i tedeschi hanno bloccato la vendita e sottoposto la merce a nuove analisi, a spese dell’azienda. «I risultati -spiega il propietario Nicola Barbato – sono stati di assoluta sicurezza per la salute e abbiamo ripreso ad esportare».
Ma anche quei 5000 euro spesi per fare le analisi rientrano nei danno subiti dal nostro sistema agroalimentare.

 

Dalle successive inchieste gastronomicamente psicodrammatiche sul caffè napoletano che faceva schifo, passando per la pizza cotta nel forno a legna e quindi cancerogena, un carosello di allarmismo ingiustificato che, accostato a quello della Terra dei Fuochi, ha dato un ulteriore mazzata al comparto agroalimentare campano. L’ultimo caso quello di due settimane fa:

in una trasmissione di Rai Due si parlava di brucellosi con una mozzarella
in studio omettendo di dire che il livello di incidenza di questa malattia in Campania è sotto la media nazionale e che, soprattutto, non c’entra nulla con il latticino perché per produrlo bisogna riscaldare il latte a una temperatura in cui tutti i batteri muoiono.

 

Disinformazione (in malafede?) che, lo ripeto, ha provocato un danno economico alla regione di 100 milioni di euro. Ma il mercato globale è liquido, quei soldi sono andati a finire certamente da un altra parte. Chi si è arricchito? Sempre Luciano Pignataro scrive che il vuoto lasciato dall’agroalimentare campano è stato colmato dalle:

aziende di pomodori del Nord, multinazionali che hanno vantaggio dalla difficoltà della dop nonostante che le uniche mozzarelle sequestrate siano state quelle blu riconducibili alla Granarolo. Per non parlare dei mediatori di ortofrutta che hanno fatto «girare» i prodotti campani dal Lazio e dalla Puglia. Nel frattempo nasce il marchio Mozzarella Stg sostenuto da Zaia e molti hanno iniziato a riconvertire gli allevamenti
da bovini in bufalini.

 

Se poi a tutto ciò aggiungiamo i dati sulle agromafie che, a differenza del saldo negativo campano, non hanno registrato alcun segno meno, beh il quadro appare ancora più inquietante. O, probabilmente, esplicativo.