Don Ciro: “Ridateci le vecchie magliette coi colori sociali”

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C’è una vecchia regola del calcio, secondo la quale le magliette con i colori sociali di una squadra di calcio hanno un loro valore o significato legato all’identità della città.  Ne ricordano, in maniera latente, le origini e la storia. O sono i colori di una dinastia che sulla città, di cui la squadra è rappresentante, ha regnato.

C”è un’altra regola del vecchio calcio, andata fuori moda, abbattuta dal football televisivo e dagli sponsor tecnici, secondo cui se i colori delle maglie delle squadre che si affrontano sono simili, la società ospitante sostituisce alla propria, la seconda maglia (in un remoto passato era bianca ed uguale per tutte le compagini del campionato), lasciando che la squadra ospitata indossi i propri colori sociali in campo avverso. Ospitalità, galateo, buona educazione.

Tutto questo il signor Ciro, 75 anni suonati, se lo ricordava bene per questo ieri, mentre insieme, nel primo pomeriggio, affrontavamo il viaggio da emigranti in autobus, è stato vittima di un grande equivoco figlio del “calcio moderno”.

C’è una regola non scritta, tra le tante, sulle “corriere” di chi si allontana dal luogo natìo: la “controra” è sacra come il riposo. Per cui vengono ridotte al minimo le conversazioni telefoniche, le radio si ascoltano solo con gli auricolari e le partite trasmesse da tablet e smartphone vanno osservate senza commento. Fino alle quattro e mezza, cinque quando tutti chiamano ai parenti per informarli sulla tabella di marcia del viaggio verso Nord.

Il signor Ciro era seduto accanto a me con un paio di spessi occhiali, modello fondi di bottiglia, orgoglioso dell’abbonamento a scrocco del figlio a Mediaset Premium, che gli dava la possibilità di guardare le partite su uno smartphone con uno schermo da 4 pollici. Tra i riflessi dell’ultimo sole, la risoluzione e la connessione fatiscente e la vista da 75enne con tanto di occhialoni annessi, per Ciro il colore delle maglie era essenziale per seguire Empoli-Lazio.

“O Napl joc chiù tard, m’aggia jucat la vittoria dell’Empoli”, aveva osservato alla mia richiesta sui che lo spingevano a seguire proprio quel match. Ragioni della “bolletta” che il tifo non conosce.

Dalla Stazione di Piazza Garibaldi il fischio dell’arbitro ha fatto muovere anche il nostro autobus, tra il borbottare continuo di disapprovazione del signor Ciro che mi sedeva accanto. e che accompagnava il viaggio in autostrada. Qualche spintone, qualche bestemmia mitigata dalla storpiatura dell’oggetto dell’improperio.

Alle 16.20 circa avverto un “stù strunz rà l’Empoli nun putev signà primm”…

Mi volto distrattamente verso lo schermo ed intravedo una sgranata maglia amaranto che esulta e corre verso il centro del campo. Faccio spallucce e controllo per curiosità sul mio telefono i risultati in diretta della partita. Una Lazio a distanza in classifica sarebbe stata un ottimo risultato per il Napoli.

“Due a uno Empoli”, mi dice lo schermo del primo sito che mi viene tra le mani. Mah. Ritorno ad appisolarmi.

Intorno alle 17, sento don Ciro strappare violentemente “la bolletta” con la vittoria dell’Empoli sulla Lazio. “Sti sciem m’anna fatt perdere nu sacc e sord” – “Don Cì scusate ma siete sicuro che ha vinto la Lazio?” – “Eh, anna vinciut chill cà maglia celeste, nun è a Lazio, cà maglia celeste? L’Empoli tenev a maglia rossa”. Obiezione giusta, considerando la vecchia regola del calcio, ormai abrogata, secondo cui la squadra ospitante mantiene i colori sociali. Torno al mio cellulare.

“Don Cì guardate, ha vinto l’Empoli due a uno”, passo il mio smartphone con la nuova classifica di Serie A.

Una nuova bestemmia del vecchio emigrante al nuovo calcio e alle maglie camouflage, jeans, indaco e violetto e a tutte le regole secondo cui ieri Lazio ed Empoli si erano invertite le maglie.

Articolo scritto per Il Napulegno

Una risposta a “Don Ciro: “Ridateci le vecchie magliette coi colori sociali””

  1. standing ovation per l’articolo.
    Sono d’accordissimo..non sai quanto mi da fastidio vedere il brescia con la maglia arancione.

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