Dopo 71 anni Mameli non è più precario

Dopo 71 anni, l’Inno di Mameli diventerà, definitivamente, l’inno ufficiale della Repubblica Italiana. Vi chiederete: ma perché fino a mo’? Era provvisorio. Nel Paese di San Precario, pure l’inno aveva un contratto a progetto. Poi alla fine hanno deciso di regolarizzarlo. Manca solo l’ultimo passaggio al Senato.

Dopo il referendum lombardo veneto, i rigurgiti di autonomia ed indipendenza che muovono l’Europa, ingessata, delle Nazioni (e qualche strilletto autonomista pure a Mezzogiorno) evidentemente in Parlamento hanno pensato bene di puntellare le fondamenta unitarie repubblicane con una mano di stucco a presa rapida.

De gustibus, a me l’inno non è mai piaciuto. Mi ha sempre dato l’idea di una stituazione grottesca. Sarà stato perché da piccolo ad una parata militare ho sentito quegli uomini in divisa, con stelle, medaglie e medagliette appuntate con ordine e disciplina, accompagnare le note (che avrebbero dovuto essere solenni “…Iddio la creeeò”) con un popopò popopò popopo’ po’ po’ po’ po’.

E lì ho scosso la testa, al pensiero di quegli altri inni che veramente te la fanno fare sotto mentre li ascolti (Deutschland, Deutschland über alles über alles in der Welt,wenn es stets zum Schutz und Trutze brüderlich zusammenhält.
Von der Maas bis an die Memel, von der Etsch bis an den Bel
, o ancora quel Slàv’sja, otéčestvo, nàše svobòdnoe,Drùžby naròdov nadëžnyj oplòt!Pàrtija Lénina – Sila naròdnajaNas k toržestvù Kommunizma vedët! , giusto per farvi due esempi). Quegli inni che, dopo averli sentiti, un po’ come succede con Wagner, ti viene da resistere a Stalingrado o da invadere la Polonia.

Quando sento la marcetta, invece, a me viene in mente il casatiello alla gita del lunedì di Pasquetta, da sussurrare con la gomma da masticare in bocca o da avvinazzati. Oppure i caroselli per la vittoria ai mondiali, subito dopo “ollelè ollalà faccela vedè faccela toccà” dedicata alla mora della decappottabile accanto con le labbra rifatte e il tricolore disegnato sulle guance.

Mi scusi Presidente

Non sento un gran bisogno

Dell’inno nazionale

Di cui un po’ mi vergogno.

Lo diceva pure Giorgio Gaber, che un po’ di musica ne capiva, così come ne capiva l’orchestra che, nel 1920, durante la premiazione del marciatore milanese Ugo Frigerio alle Olimpiadi di Anversa, alla presenza di re Alberto del Belgio, suonò ‘O Sole mio (anziché la sabauda “Marcia Reale”), da tutti conosciuta a memoria, e immediatamente l’esecuzione venne seguita a gran voce dagli spettatori dello stadio.

Non è mai piaciuto a nessuno, diciamo la verità, né a destra né a sinistra, per questo è stato precario per 71 anni. Il primo precario della storia italiana a cui, alla fine, è stato riconosciuto il “posto fisso” nell’alveo costituzionale. Popopoò, popopò, popopo’ po’ po’ po’ po’.

Per me il senso sta tutto qui ( fosse stato “doicland doicland iuber alles” col cavolo che ti saresti scordata le parole) :