I Galli (della Loggia) che non fanno mai Mezzogiorno

di Raffaele Vescera

Che Ernesto Galli Della Loggia, editorialista di punta del milanese Corriere della Sera, scenda in campo sul tentacolo meridionale del suo giornale, “Il Corriere del Mezzogiorno”, per convincerci che l’Italia non c’entra ma è tutta colpa dei Meridionali se essi stanno male, non può che farci piacere. Una battaglia antimeridionale condotta in campo aperto da parte dei “neogaribaldini”, è preferibile a quella subdola che gli stessi conducono da qualche anno, contro la verità storica, ormai acclarata, che l’unità d’Italia ha danneggiato il Sud, anziché “liberarlo e salvarlo”, come la retorica nazionale ci ha fatto sempre credere.

L’editorialista del Corriere, citando a sproposito Gramsci che dice l’esatto contrario, sostiene che la diffusione del “sudismo” (a suo dire ormai maggioritaria tra gli intellettuali meridionali) sia grandemente negativa perché, disconoscendo il ruolo positivo svolto per il Mezzogiorno dall’unità d’Italia, salderebbe il ceto colto alla borghesia corrotta meridionale e ai politici che questa esprime, privando gli intellettuali del ruolo critico che essi devono svolgere verso il blocco sociale economico-politico arretrato del Sud. In soldoni, l’Ernesto nazionale sostiene che gli intellettuali meridionali devono continuare a fare il tifo per la borghesia del nord, la stessa che ci ha regalato quest’Italia malata di debito pubblico, corruzione e mafia.

La stessa che ha fatto delle regioni del nord le più ricche d’Europa e di quelle del Sud le più povere, con un pil pro capite inferiore a Grecia e Portogallo, la stessa che da 153 anni investe per un cittadino meridionale il 30% in meno di uno settentrionale, la stessa Italia che lascia il Sud senza lavoro, senza industria, senza ferrovie, senza strade, con scuole ed ospedali fatiscenti, e soprattutto con una mafia sempre più forte perché questo Stato non solo ha favorito la sua nascita, come dicono i migliori giudici antimafia, ma anziché combatterla, mantiene con essa un patto scellerato. L’uccisione e l’emarginazione “di Stato” dei magistrati che la mafia la combattono sul serio, la dice lunga sulle intenzioni italiane di eliminare quel grande sistema criminale utile al controllo elettorale del Sud e al trasferimento e reimpiego, verso nord, degli enormi proventi finanziari estorti al Sud.

La retorica nazionale dominante è fondata su molte bugie, le stesse oggi rispolverate e difese a spada tratta dal Galli della Loggia (quale loggia? Provate a indovinare…)
La vulgata antimeridionale ci propone la stanca solfa di un Sud arretrato, economicamente e socialmente, prima dell’unità, arretratezza passata che sarebbe causa di quella presente e viva. Nulla di più falso. Tutti gli studi economici, senza scomodare Nitti e Salvemini, parliamo degli uffici studi della stessa Banca d’Italia e di testi che riportano tabelle statistiche inconfutabili, come quello recente dei prof. Daniele e Malanima, convengono su una verità: le condizioni economiche del Sud, al 1861, non differivano da quelle del nord. A quel tempo, tutta l’Italia era prevalentemente agricola, con una leggera propensione all’innovazione industriale e tecnologica da parte delle Due Sicilie, che oltre ad essere lo Stato indipendente più grande della Penisola, era quello fornito di maggiori risorse finanziarie, le stesse poi utilizzate dal Piemonte per risanare i propri debiti.

Condizioni di cassa floridissime del Banco di Napoli che vedeva lo stato delle Due Sicilie in attivo finanziario, unico nella storia d’Italia e forse del mondo. In quanto alle condizioni civili, l’assolutismo monarchico era ampiamente diffuso in Europa, vieppiù in Piemonte dove la repressione poliziesca e le carceri erano ben più dure e feroci che a Napoli. In quanto alle presunte arretratezze culturali, l’illuminismo napoletano, che coinvolse anche la migliore nobiltà del Regno, era tra quelli più avanzati d’Europa.

In quegli anni (ce lo dice la Storia d’Italia di Candeloro) Bologna, su 70.000 abitanti, aveva ben 16.000 mendicanti, più che a Napoli, vicina al mezzo milione d’abitanti. Che dire poi della miseria padana e della pellagra? La Storia parla da sé.
Bene, qualcuno dirà che questo può essere vero, però poi i Meridionali hanno “scelto” di restare indietro. Premesso che la condanna agricola del Sud è stata una scelta piemontese che ha volontariamente favorito la nascita dell’industria nel triangolo del nord-ovest, a danno del Sud e con l’impiego di capitali e braccia meridionali, sapete dirmi quale popolo rifiuta da sé benessere e progresso? Non sono piuttosto gli stati più forti ad imporre condizioni coloniali a quelli più deboli? Così avviene, da sempre, nel mondo.

E poi, di quale arretratezza culturale del Sud parliamo se intellettuali, scrittori, artisti e registi meridionali danno nel mondo lezione di civiltà? Si parla di politici meridionali arretrati? Vero, ma non di certo più arretrati e corrotti di quelli del nord, vogliamo parlare di Bossi, Berlusconi, Formigoni, Cota, Borghezio etc, compresi quelli del Pd? Si parla di società meridionale arretrata e mafiosa? I migliori combattenti antimafia sono meridionali e la Confindustria siciliana è l’unica ad espellere i propri associati che pagano il pizzo. Le regioni del Sud non hanno forse due governatori esplicitamente omosessuali e ben votati dalla gente, mentre al nord altri governatori gay nascondono la loro condizione? Non è forse vero che a Sud centinaia di migliaia di cittadini si organizzano in modo civile per protestare contro la devastazione del territorio, da Taranto alla Terra dei fuochi, mentre il nord, che vive condizioni di inquinamento territoriale anche peggiori, non vede alcuna protesta civile?

E’ certamente vero che Il Mezzogiorno è vittima di politici cialtroni che lo vendono agli interessi del nord, ma è pur vero che c’è un nuovo Sud che ha preso consapevolezza delle proprie potenzialità.
Il Sud non ne può più di essere raccontato dal nord, il Mezzogiorno ha tutte le chances per riscattarsi da sé, a partire dal ristabilimento della verità storica sul proprio passato, una verità che mostra la nudità del re. Checché ne dicano i “sarti di corte” alla Galli della Loggia, che mangiano sui vestitini farlocchi che cuciono.

*Giornalista e Scrittore