“I treni della (in)Felicità”: un’altra storia sconosciuta del sud

Il recupero della storia del Sud, non riguarda solo le vicende preunitarie. Ma molte, taciute, che hanno avuto luogo anche nel dopoguerra.

Celebrate, da diverse prospettive, dal cinema e dalla stampa.

E’ il professor Gennaro de Crescenzo che riporta alla luce una vicenda:

Tra il 1945 e il 1952 oltre settantamila bambini meridionali furono deportati presso le famiglie del Centro-Nord dell’Italia in un progetto denominato, con una buona dose di cinismo e di retorica, “i treni della felicità”. La guerra era finita da pochi mesi e le condizioni dell’Italia erano pietose ed in particolare lo erano ancora di più nel nostro meridione. Le “forze antifasciste” al governo, con ex partigiani ed ex partigiane (tra esse Miriam Mafai e Luciana Viviani) e con l’appoggio del Partito Comunista, dei Comitati di Liberazione Nazionale e dell’Unione Donne Italiane, diedero vita a questo “movimento nazionale di solidarietà che affondava le sue radici nei valori della resistenza: uno degli esempi più fulgidi di come il nostro Paese ha saputo essere unito”…  E fu così che centinaia di treni nella solita direzione Sud/Nord furono riempiti con quei bambini “laceri e denutriti” e spediti nell’Italia centro-settentrionale (in particolare in Emilia Romagna), dove “vennero rivestiti, mandati a scuola e curati. Con questa storia “commovente ed esaltante” e con queste premesse, tra l’altro, è stato realizzato un film (“Pane nero”) passato anche alla mostra di Venezia lo scorso anno e ancora in giro, accompagnato da conferenze e seminari con i suoi realizzatori. Un centinaio di questi bambini (è utile sottolinearlo) proveniva da San Severo in provincia di Foggia: nel 1950, dopo un duro (e giustificato) sciopero, furono incarcerati  circa 200 manifestanti e tra essi anche mogli e mariti che lasciarono soli i loro figli che, invece di essere restituiti ai genitori (magari dopo un giusto e rapido processo), furono “deportati” al Nord. In realtà, seguendo il copione delle ideologie più esasperate del tempo (da quella nazista a quella comunista), qualcuno era davvero convinto che chi governava doveva e poteva assicurare la felicità ai propri popoli magari anche a prescindere dai propri popoli o da quello che quei popoli pensavano e sentivano magari perché “incapaci” di apprezzare.

E prosegue,il Professor De Crescenzo, ponendosi domande lecite,a cui oggi, in un Sud svuotato della sua popolazione in gran parte emigrante:

Nessuno si è chiesto se quei bambini erano e furono davvero felici con un piatto di pasta in più ma senza la loro famiglia e la loro casa.  E se è vero che si trattò di un “movimento di solidarietà nazionale”, possibile che allora o oggi a nessuno sia passato per la mente che quei bambini potevano e dovevano essere aiutati a casa loro?  E che cosa doveva passare per la mente di un bambino di cinque anni (penso a mia figlia) mentre salutava, di notte, i genitori, mentre saliva su un treno circondato da infermiere e da altri bambini in lacrime e, dopo molte ore, si ritrovava al centro di una casa che non era la sua e di una famiglia che non era la sua?  Sconcerta anche l’assenza di approfondimento della questione: che fine fecero tutti questi bambini? Risulta che molti restarono al Nord ma con quali danni e conseguenze per loro e per le povere famiglie d’origine? E quali furono i costi e le conseguenze in termini di lacerazioni sociali e culturali, invece, per quelli che tornarono nei loro paesi? Come quantizzare, poi, i danni oltre che umani anche economici di questa diaspora? Quei bambini erano e potevano essere il cuore della ricostruzione del futuro del Sud dell’Italia.

Un modo rapido e veloce per risolvere la questione meridionale: svuotare il sud di meridionali.

Il trailer di Pane Nero: