Istat: quel Sud che non fa più figli

Se si leggesse il report dell’ultimo rapporto Istat, con un focus particolare sul Sud, ci si troverebbe davanti a scenari da mutazione antropologica, come li definisce Marco Esposito.

Non solo un flusso migratorio costante che provoca una emorragia di menti e risorse. Ma anche, in uno scenario di desertificazione occupazionale, una regressione negli indici di natalità.

Le donne del Sud, quelle nate dopo il 1982, non fanno più figli, ponendo in essere quello che viene definito un “disinvestimento riproduttivo”.

Nel rapporto si legge: «l’unico strumento rimasto a disposizione di questi giovani adulti del Mezzogiorno, donne e uomini: lo spostamento dell’investimento in capitale umano dal loro futuro al loro presente, dai loro potenziali discendenti a se stessi».

In questo quadro l’Istat registra l’assenza di politiche specifiche per il Sud e, peggio,
l’attuazione di tagli che colpiscono soprattutto il welfare del Mezzogiorno.

Secondo Marco Esposito, dal Mattino, fatta 100 la spesa per servizi sociali dei Comuni (in genere assistenza agli anziani, ai disabili e asili nido)si va da un massimo di 282 in Trentino Alto Adige a un minimo di 26 in Calabria.
Quindi si toglie soprattutto a chi ha meno. E i tagli riguardano anche la sanità,con la conseguenza che a causa dei ticket nel Mezzogiorno sempre meno persone sicurano ed è in aumento il numero di malati cronici. Con la crisi, precisa l’Istat, interrompono le cure soprattutto le donne del Mezzogiorno: il 16,7% (una su sei) ha rinunciato a prestazioni sanitarie o all’acquisto di farmaci pur avendone bisogno.

Insomma lo stato non investe ma taglia. I giovani emigrano. Non nascono più figli. State facendo le prove generali per la sperimentazione sulla decrescita felice di un territorio?

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