La pizza, l’Unesco e il complotto massonico

Era il 1986. A Rotterdam, in viaggio con mamma e papà, ad una trattoria tipica olandese, da bambino provincialotto, scelsi senza ombra di dubbio dal menù: una pizza.

“Ma si strunz?” cercò di dissuadermi il genitore, seguendo i dettami della pedagogia montessoriana. Solo dopo compresi in quale guaio mi fossi cacciato, quando il cameriere taciturno si presentò con un oggetto non identificato, di forma più o meno sferica, color giallo cacca  con una specie di ragù liquido sopra.

Capii, allora, una delle leggi fondamentali della vita: la pizza non è arte di tutti (e nemmeno di Salvini che quando si decise a voler recuperare il voto dei napoletani terroni, iniziò a fare pizze da pigliarlo a schiaffi, mattè vuoi che muoro?? )

Se il giorno prima facevi l’idraulico a Timisoara o il riggiularo a Cracovia non ti puoi improvvisare “pizzaiuolo”.

Il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaiuoli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da “palcoscenico”durante il processo di produzione della pizza”.

Così l’UNESCO ha consacrato l’arte sublime del ” pizzaiuolo” (sigillandone il nome, e quindi l’origine e l’identità, nella sua lingua madre: il napoletano). L’arte della pizza è condivisione, buona alimentazione (mangiare la pizza una volta alla settimana riduce il rischio di cancro allo stomaco), cultura identitaria ed enogastronomica.

E allora ci sta pure che per i “pizzaioli gourmet” la dichiarazione dell’UNESCO sia una boiata pazzesca (la pizza gourmet è ontologicamente sbagliata, mi disse un giorno Don Salvatore della trattoria “Vecchia Napoli” a Montesanto dove con 1000 lire, oggi 1 €, ti consegna 500 grammi di pizza a portafoglio ‘nzevata nella carta del pane che sostituisce bene pure un servizio completo da Natasha, altro che droga).

Ma pure una vasta schiera di complottistii meridionali e sofisticati radical chic  hanno storto il naso.

La cosa più divertente che ho letto è che questa dichiarazione dell’UNESCO sarebbe un complotto della Massoneria internazionale, che così vorrebbe riappropriarsi della pizza, ignorando del tutto le motivazioni di cui sopra, che rendono non la pizza ma il pizzaiuolo (e la sua arte) patrimonio dell’umanità (quindi o le multinazionali del food s’accattan ,acquistano. a tutti i pizzaiuoli del centro storico, o la vostra teoria è na’ strunzat)

Ma poi voi ve l’ immaginate l’Internazionale massonica a New York?

” Colleghi massoni, primo punto all’ordine del giorno, pigliammece ‘a pizza accussi fottiamo quei pescialbrodo dei napoletani. Favorevoli? I massoni uniti approvano! Due margherite e na’ pizza fritta al tavolo 6.”

E che pizza! Magnatavell, mangiatevela un’ emozione!

Ci avete ammorbato con questa prosopopea sofisticata contro pizza, friariello e mandolino.
Fatevene una ragione: enogastronomia e turismo sono settori trainanti del pil meridionale (+7,1% enogastronomia secondo dati Coldiretti nel 2017).

Vi stanno sul cazzo pizza e mandolino? Trasferitevi ad Oslo o a Cracovia, perché senza Margherita e putipú, Napoli sarebbe più povera. Non solo economicamente.