La salita dei “femminielli” a Montevergine raccontata da Angelo Branduardi

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Rapito dai culti pagani che si fondono con quelli cristiani, in Campania come negli altri Sud del mondo, anche Angelo Branduardi racconta sul proprio profilo Facebook una tradizione antichissima e carica di tolleranza:

Si narra di due ragazzi, giovani amanti, lasciati sul Monte Partenio in balìa del freddo e dei feroci lupi irpini: la comunità non comprendeva e non tollerava che due persone dello stesso sesso potessero amarsi. E allora intervenne “Mamma Schiavona”, una delle sette Madonne sorelle in Campania l’unica Madonna nera.
Mamma Schiavona ebbe compassione di questi due giovani amanti e, commossa per quel loro grande amore, salvò entrambi che vissero felici e contenti, come in ogni favola a lieto fine.
Da quel giorno ogni 2 febbraio tutti i “femminielli” salgono a Montevergine per rendere omaggio alla loro “Patrona”, tra canti, balli e tammorre, tra sorrisi e lacrime.
E così la saggezza popolare, nella sua semplicità, ha di fatto aperto uno spiraglio a tutti coloro “diversamente amanti”, e aprendo loro la via per la tolleranza e per il rispetto. La “Juta dei femminielli” del 2 febbraio, ovviamente non riguarda solo gli omossessuali o i trans, ma coinvolge tantissima gente di ogni estrazione sociale.
Anche questa manifestazione, come tante altre, è di origine pagana, interessante notare come coincida con quella della “Candelora” in cui si accendono candele di ringraziamento per la “purificazione”di Maria Vergine, 40 giorni dopo avere partorito Gesù.
Citando lo studioso napoletano Achille Della Ragione:
«… Non è altro che un rituale derivante dall’antico rito della fecondità, praticato per secoli nella nostra città. La figliata si svolge segretamente alle pendici del Vesuvio, a Torre del Greco, ed è stata descritta accuratamente con accenti vivaci da Malaparte nel suo libro “La pelle” e dalla regista Cavani nell’omonimo film. Questa originale iniziazione ad una femminilità particolare prevedeva un utilizzo di segrete conoscenze alchemiche, oggi perdute ed avveniva durante periodici festeggiamenti per l’avvenuta nascita del “maschio-femmina”, dagli iniziati chiamata “Rebis”, res + bis, cosa doppia. Il rituale, descritto nella “Napoli esoterica” di Buonoconto, richiedeva la presenza di un ermafrodito, l’unica creatura che contenesse i due elementi in cui è suddivisa tutta la natura. I
greci, da cui discendiamo, ritenevano divino l’ermafrodito, perché figlio della bellezza (Afrodite) e della forza (Ermes). Naturalmente nel tempo la purezza ideale dell’ermafrodito alchemico si è in parte smarrita, sostituita dalla più materiale ambiguità del femminiello, ma l’antica memoria del rito non è andata del tutto smarrita e conserva immutata ancora oggi la forte carica simbolica, che suggestiona a tal punto alcuni soggetti, da fargli provare le stesse emozioni ed i lancinanti dolori del parto
[…] ».