La Grande Bellezza del “turcimiento rind a panz..”

O’ turcimient rind a panz, ovvero quel senso di costipazione e di contrazione nervosa delle viscere (che patologicamente sfocia nella colite), e che si accompagna a formi lievi e/o croniche di gastrite. Causato da episodi di stress. Un pò come quando accade che il tuo vicino ha l’auto più bella, o il tuo collega, senza alcuna raccomandazione a differenza tua, consegue una serie di promozioni con relativo lauto aumento di benefits e stipendio.

O’ turcimient rind a panz è quel rosicare, come definito in altre regioni, indotto da un senso di profonda frustrazione da minorità, invidia senza scampo, che crea malessere.

All’alba di ieri, tali episodi si sono manifestati con maggiore insistenza causa conferimento Oscar al signor Sorrentino Paolo da Napoli. Episodi che hanno raggiunto la soglia di attenzione, perchè il nostro, ha osato dedicarlo, tra gli altri, a Diego Armando Maradona, elevandolo a musa ispiratrice.

Apriti cielo.

Dai varietà radiofonici alla vaccinara. ai twittaroli leghisti, ai napoletani che nemo profeta in patria, fino agli espulsi di un noto movimento politico, una lunghissima fila di turcimienti rind e panz, con conseguente travaso di bile ed incetta di gastroprotettori nelle migliori farmacie metropolitane.

Orrore, scandalo disapprovazione! Non si può dedicare l’Oscar a Maradona (che poi Kosturica c’ha pure fatto un film). Maradona l’evasore, perdincibacco.

Una precisazione: Sorrentino ha esplicitamente parlato di “sources of insipiration”, fonti di ispirazione. Non ha dedicato la vittoria al suo commercialista, ma alle muse. E solo chi ha vissuto a Napoli a cavallo degli 80 e 90, può sapere dove ha condotto D10S. (anche la vicenda fiscale non è molto chiara, leggere qui per un approfondimento, ed è ovvio che se ritenuto pienamente colpevole debba pagare)

Ispirazione, emancipazione. Maradona terrone e sudaca che straccia i luoghi comuni e vince. Lesa maestà. Il napoletano “caccia la testa fuori dal sacco”. E Diego, tutto ciò lo capì subito, anticipando movimenti e letteratura che oggi trova terreno fertile.

Ed diez, per chi era allora adolescente e bambino, per chi vedeva il giocatore e non l’uomo, per chi non poteva sapere cosa facesse con la porta chiusa o col commercialista, un sogno. L’ispirazione, appunto (cfr, L’uomo in Più, Paolo Sorrentino, 2001, che filmone ragazzi, quello sì da Oscar).

E invece, o’ turcimient rind a panz, genera il sonno della ragione e la tipica ipocrisia italiana. Che è la stessa (odiosa) che ti fa notare che “era dopato” se guardi l’ennesimo documentario di Marco Pantani che scala l’Alpe d’Huez e il Mont Ventoux. Era emozione anche quella, pura e suggestiva. Tanto che gli Stadio e i Nomadi gli hanno dedicato delle canzoni.

Se poi il vincitore dell’Oscar è napoletano ee espone, in una meravigliosa presa d’atto generazionale ed identitaria, l’amore viscerale per la mano de Dios, l’effetto si amplifica.

Ecco dunque che O’ turcimient rind a panz, si sublima nella disapprovazione di gente triste e apodittica. La stessa che vota un pregiudicato per centinaia di milioni di euro di evasione fiscale, la stessa che chiede per costui agibilità politica, la stessa che quando viene l’idraulico, strizza l’occhio all’artigiano per risparmiare sul “nero”, la stessa che “c’ho n’amico che toglie la multa”, la stessa che parcheggia in seconda fila tanto è solo per 5 minuti, la stessa che non paga il canone alla Rai, la stessa che sono meglio le mutande verdi e che per anni ha elevato personaggi improponibili e novelli Montesquieu. Gli stessi che se ascoltano musica non si preoccupano di sapere se l’artista fa uso di stupefacenti, o tiene altri comportamenti disdicevoli.

Mi interessa la musica che fa, l’arte che esprime e le emozioni che riverbera, non il resto.

La stessa che a “Porta a Porta”: questo film sulla vita debosciata non rappresenta il Nord (a mbè perchè quello su Federico Barbarossa invece si, vero?), perchè molto operoso.

Infatti il bunga bunga lo hanno inventato a Caivano, le cenette di Arcore con spettacoli di Burlesque e nipotine illustri avevano luogo a Castellammare di Stabia e la “Milano da bere” con la sua opulenza, il suo edonismo e l’epilogo tangentista e tangentario erano soltanto il frutto di qualche visionario terrone.

L’Italia è un paesello monotono. E il Medioevo mi ha rotto le palle. Le piazze tutte uguali, le vie tutte uguali e i portici di queste cittadine maledette, non li distingui l’uno dall’altro, ci passi sotto e non vedi cosa accade fuori. Ma cosa accade fuori? Probabilmente niente. […] Solo la mia città ha ancora un minimo di senso con quell’apertura alata a mare, sterminata. Ti dà la sensazione che se vuoi, puoi fuggire (Paolo Sorrentino, “Hanno tutti ragione”)