Napoli: vie, nomi, identità e le mutilazioni della memoria

Lo scorso Gennaio il filosofo De Giovanni, in una intervista al Corriere del Mezzogiorno  affrontava la questione dell’identità meridionale e napoletana, in particolare, riconducendone la perdita, a causa determinante di taluni mali di Napoli. Un aspetto scevro da elementi politici o amministrativi, ma ab orgine culturale:

Al di là di certe situazioni amministrative gravi, c’è un problema ulteriore dei napoletani. Manca un’identità comune e questo fa pensare a ciascuno: io sono diverso e migliore degli altri e così faccio quello che voglio».

 

Quindi oltre il problema amministrativo ce n’è uno culturale?
«Sì, l’identità collettiva e condivisa manca perché non ha più una base culturale. In realtà noi ce l’avevamo e anche forte, ma la stiamo buttando via e ce la stanno cancellando, perché si vuole lasciare Napoli in questa condizione d’inferiorità. Il Luna Park Italia ha bisogno di un castello dell’orrore. Da qui vengono i cori di discriminazione allo stadio e la copertina dell’Espresso. Il fatto che durante la partita Verona-Inter entrambe le curve attacchino Napoli non è normale: non si tratta più di uno sfottò tra tifoserie. E dunque come si combatte tutto ciò?».

 

Appunto, qual è la ricetta?
«Rintracciando l’identità culturale smarrita. Per sentirsi fieri di essere napoletani. E non si può trattare di un processo delegato a una qualsiasi istituzione culturale, diventerebbe un fatto autoreferenziale e posticcio. La cosa migliore sarebbe l’istituzione di una cattedra di lingua e letteratura napoletana, che non esiste in nessuna università partenopea».

 

E respingeva così l’abusata (ormai) accusa di leghismo (con annessa accusa di neoborbonismo) al contrario, che serve solo per soffocare la riscoperta e la valorizzazione identitaria:

«A San Pietroburgo ‘‘Le voci di dentro”(una commedia di Eduardo de Filippo,ndr)  ha ricevuto sette minuti di applausi. Il napoletano è apprezzato ovunque e non rischiamo di ghettizzarci. Non ho certo in mente spinte neoborboniche, penso alla realtà contemporanea: oggi si canta in napoletano, dai rapper ai neomelodici. Eppure una parte della città non capisce. Una cattedra universitaria è qualcosa di vivo, molto meglio, per unire Napoli, dell’ennesimo dibattito a Scampia».

 

Tutto ciò per entrare nel merito di una notizia (chissà fino a che punto provocatoria) di un consigliere della IV Municipalità di Napoli che vorrebbe cancellare l’intitolazione di una piazza, a Carlo III, sostituendo il toponimo col nome di Enrico Berlinguer.

Ho l’impressione che certe notizie, certe valutazioni, sembrano essere create, artatamente, per generare spaccature e fratture non solo nel tessuto cittadino ma anche nell’identità di un popolo. Nella opinione della gente. Farlo, scegliendo, poi, la contrapposizione toponomastica con personaggi dall’alto e indiscutibile spessore politico e morale, alimenta ancora di più questo sospetto (arriveremo, come stiamo assistendo in questi giorni, al concilio ecumenico della stampa nazionale che rimproverà ai meridionalisti, bobbonici, ignoranti e violenti, di alimentare polemiche pure verso una figura integerrima come quella di Berlinguer, volete scommettere?)

Nulla questio nel merito dell’intitolazione ad Enrico Berlinguer, ci mancherebbe, figuriamoci, ma che senso ha sostituire? Non sarebbe molto più intelligente, aggiungere? Non ci sono luoghi sufficienti per estendere una memoria condivisa anzichè mutilarla, scegliendo chi la merita e chi no? Non sarebbe, per esempio, più coerente e simbolico intitolare, all’ex segretario del PCI, le aree prospicienti a quel che resta della tradizione operaia napoletana? Mi viene in mente tutta l’ex area industriale di Bagnoli, ad esempio.

Non mi appassionano nello specifico, le ragioni dell’appartenenza territoriale dei soggetti in questione, ma resta pur sempre in ballo l’importanza dell’identità storica di una città.

Questo il parere di Gigi di Fiore, giornalista e scrittore, sul Mattino di oggi:

 Posso anche capire l’antiborbonismo sfrenato, ma calpestare la storia della nostra città mi sembra un insulto. Eppure, Francesco Donzelli, consigliere della IV municipalità, crede che piazza Carlo III debba diventare piazza Berlinguer. E propone il cambiamento toponomastico. Con tutto il rispetto per l’ultimo grande segretario nazionale del Pci, con tutto il rispetto anche per Benigni che girò un film d’amore dedicato al suo amato Enrico, la proposta mi sembra quasi una violenza alle memorie di Napoli. Non si capisce cosa c’entri il sardo Berlinguer con la nostra città, si capisce invece assai bene cosa c’entri Carlo III di Borbone. Venne nel 1734 da queste parti, fondò il ramo dei Borbone di Napoli e Sicilia, poi autonomo da quelli di Francia e Spagna. E poi, come scrivono anche gli storici più critici sul regno borbonico, fu il più illuminato tra i quattro sovrani di quella dinastia. Negli anni del suo regno, fu realizzato il teatro San Carlo, partirono i lavori per la reggia di Caserta, si ampliò la reggia di Capodimonte, si costruì l’Albergo dei poveri, si avviò la scuola di porcellana a Capodimonte voluta dalla moglie Maria Amalia di Sassonia e… e mi fermo qui, perché lo spazio a disposizione me lo impone.

La risposta di Andrea Balia, del partito del Sud, getta acqua sul fuoco:

Riguardo diversi post sulla questione Berlinguer/Piazza Carlo III°, tra il preoccupato e lo stupidamente provocatorio -a dimostrazione di quante cose serie ed impegni affiggano le persone- ho già risposto in quanto Delegato diretto del Sindaco nella Commissione Toponomastica del Comune di Napoli. Stante la verificata volontà d’intitolare qualcosa a Berlinguer, non si è mai entrati nel merito del dove e del come. Eventuali proposte e/o richieste saranno in sede di sedute prossime valutate, discusse e se necessario votate all’unanimità.

Io semplicemente credo, come De Giovanni, che estirpare da un territorio e da un popolo la propria identità, vuol dire vilipenderlo, umiliarlo, esporlo a mali che poi diventano irriducibili. Soprattutto se con questi mali si viene a patti..

[banner network=”adsense” size=”468X60″ type=”default”]

2 Risposte a “Napoli: vie, nomi, identità e le mutilazioni della memoria”

  1. Ma diamine, abbiamo da scegliere tra una piazza Garibaldi, un corso e una galleria Umberto, persino una piazza Cavour, tutti nomi legati alla distruzione della nostra identità. Ma proprio con Carlo III ce la dobbiamo prendere? (a proposito, anche gli scavi di Pompei ed Ercolano furono intrapresi da lui). Ma chi lo ha nominato consigliere, questo Donzelli? Per favore, qualcuno tra coloro che lo hanno eletto, si faccia carico di insegnargli un po’ di storia patria!

  2. A proposito dell’intitolazione di vie e piazze, il problema nasce dalla sciocca mania di “glorificare” in questo modo una persona o un evento. Una volta vie e piazze venivano chiamate con nomi di fantasia o facendo riferimento a qualche caratteristica locale. Da quando abbiamo iniziato a glorificare personaggi o eventi è iniziato il balletto dei nomi, con vie e piazze che spesso cambiano nome ad ogni cambiamento di regime. Patetico. I nomi delle vie e delle piazze dovrebbero essere un mezzo per “ricordare storia e tradizioni”, non per celebrare idee. Piazza Carlo III a Napoli ha un senso, ma non per celebrare un re, bensì per ricordare un periodo storico incancellabile qualunque sia l’ideologia prevalente in un dato momento. Berlinguer, lodato da molti e inviso ad altri, non rappresenta nulla nella storia e nella tradizione di Napoli (o di altre città, a parte la sua città natale).

I commenti sono chiusi.