Quando il Veneto era “emigrante”

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È sempre interessante ricordare il proprio passato e la propria storia per comprendere il presente. Soprattutto nell’era di nuove migrazioni. I veneti ad esempio sono stati un popolo “emigrante”, proprio come i meridionali.

A tal propositoì, Antonio Trentin, riprendendo il saggio di Francesco Jori “Il Sud del Nord”, sul Giornale di Vicenza,  scriveva:

Si fatica a raccontare a chi adesso ha trent’anni (e col Miracolo del Nordest fa i conti usando per la prima volta il segno “meno” in economia) che cos’era – tre o quattro generazioni fa – il Veneto etichettato come Terronia dell’Alta Italia, zona depressa rispetto all’Ovest padano del nascente Triangolo industriale. Raccontarlo, poi, a chi è più giovane ancora, è come raccontargli un’incomprensibile archeologia. Ma anche chi di anni ne ha sessanta o settanta tiene sepolte negli strati sotterranei della memoria – difficili da scavare sotto i ricordi delle prime abbondanze moderne godute da bambino – le storie che ascoltava da genitori e nonni: la ruralità arretrata che semitotalizzava il vivere dei veneti, le polentate e la pellagra, le penurie e la povertà, i filò invernali contro il freddo, l’emigrazione che toccava ogni famiglia, la mobilità sociale ridotta al minimo. Però conoscere questo antico humus dove si è radicato il successivo sviluppo, fino al lungo boom della seconda metà del ‘900, sarebbe una buona operazione culturale da imporre a tutti i giovani del presente fattosi precario: lezioni da imparare ce ne sarebbero tante.

 

Ed ancora:

Il Sud del Nord ha come confini cronologici da una parte l’ingresso di Veneto e Friuli nel Regno d’Italia, con le relative prime rilevazioni statistiche e demografiche che misurano l’arretratezza delle terre di nuova annessione; e dall’altra l’avvento del regime mussoliniano, all’inizio solo un’apparente farsa tragica, con la Marcia su Roma dei fascisti nostrani che si ferma pochi chilometri lontano da casa o viene deviata su Milano. In mezzo ci sono sei decenni di lenta emersione dal peggio della miseria e di presa di coscienza delle classi subalterne – ma anche di prove di capacità della classe imprenditoriale in formazione – che Jori scandisce con flash tratti da una cospicua biblioteca di letture trattate come vere e proprie fonti giornalistiche.

 

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