Storie di briganti del Nord

La dimostrazione che il fenomeno della rivisitazione storica di alcuni tòpoi , come quello del brigantaggio, suscita interesse e passione anche lontano dai luoghi d’origine del fenomeno stesso da cui sono partiti, è un libro di Silvino Gonzato che racconta in Briganti Romantici, l’epopea di alcuni briganti. La novità è che il testo narra,con l’eccezione della brigantessa campana Michelina di Cesare, la storia di alcuni briganti del Nord Italia.

Come scrive Gonzato nell’introduzione, vi fu nelle azioni a volte efferate di quei malavitosi anche una ribellione alle iniquità che vedevano. In alcuni casi s’erano dati alla malavita a causa delle sopraffazioni dei potenti. Erano spietati ma non abbietti. Abbietto era invece il campionario umano che li circondava, complici o sbirri o sicari o delatori o cacciatori di taglie. Avevano il più delle volte, i briganti, il sostegno dei popolani affamati e bistrattati. C’era del Robin Hood in alcuni dei loro comportamenti, non c’era invece nessun afflato religioso nei comportamenti di preti e arcipreti dediti al contrabbando quando non anch’essi agli ammazzamenti. (Fonte il Giornale)

Ecco la presentazione del libro:

Si sono dati alla macchia per combattere le ingiustizie di cui erano state vittime le loro famiglie, le comunità contadine che li ospitavano o loro stessi. Sono diventati briganti per caso, non per vocazione. Hanno fatto un fardello delle proprie illusioni e, da veri romantici, si sono rintanati nei boschi, convinti di poter combattere con le armi un mondo che ritenevano ingiusto. Qualcuno li chiamava criminali e banditi, altri briganti.
Spesso, tuttavia, anche se molti di loro si dichiaravano anarchici, erano pover’uomini, analfabeti che non avevano fatto altro che reagire d’impulso ai torti di cui erano stati vittime; disperati che progettavano di far cadere tutti i potenti del paese, chiunque essi fossero.
Questo libro racconta cinque storie di briganti, dal Seicento alla fine dell’Ottocento, che mai avrebbero pensato di darsi alla macchia se le loro vite non fossero state sconvolte da qualcosa di inatteso e irreparabile. Persone come Giovanni Beatrice (detto Zanzanù) che diventò bandito per vendicarsi della fazione rivale che aveva barbaramente giustiziato suo padre nella piazza del paese; come Antonio Tosolini (detto Menotto), friulano, che imbracciò l’archibugio per punire il conte che lo aveva licenziato e che pagava troppo poco i braccianti. E ancora briganti come Michelina Di Cesare, di Caspoli, nel Casertano, che raggiunse nei boschi un ex sergente borbonico di cui si era innamorata; come Giuseppe Mayno, fuggito per colpa della sparatoria da lui innescata in cui morirono due gendarmi, o Francesco Demichelis (detto il Biondìn) arrestato per omicidio volontario, dopo aver ucciso un rapinatore per eccesso di legittima difesa.
Scritte col piglio del racconto d’avventura ma arricchite dalle splendide e rigorose ricostruzioni storiche a cui Silvino Gonzato ci ha ormai abituato, Briganti romantici è un affresco che, dal Seicento all’Ottocento, narra di gendarmi e soldati, sicari e spie, vagabondi e generali, e dell’avventuroso destino di coloro che sarebbero passati alla storia come briganti.
Gendarmi, soldati, popolani, spie, nobili e generali, e l’avventuroso destino di cinque «briganti romantici».
Manca nell’elenco, l’epopea del piemontese Carlo Antonio Gastaldi che, da soldato dell’esercito piemontese ed operaio, venne al sud per combattere la causa della resistenza del brigantaggio meridionale.
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