Lecco: la ‘ndrangheta giura su Garibaldi e Mazzini (video)

«Nel nome di Garibaldi, Mazzini e La Marmora, con parole di umiltà, formo la santa società»: per la prima volta gli inquirenti sono riusciti a filmare l’atto di ingresso nella ‘ndrangheta.

Un documento fondamentale nelle ricostruzioni anche storiche di certi fenomeni.

E mi sovvengono le parole del dottor Nicola Gratteri, (pronunciate durante un convegno) a proposito di certe organizzazioni e della loro epifania nell’Italia immediatamente post unitaria.

Significativo il giuramento compiuto dai criminali: i nuovi adepti della ‘ndragheta giurano di agire nel nome di Garibaldi, Mazzini e La Marmora, figure del Risorgimento. Al nuovo affiliato, nel corso della cerimonia, vengono consegnate  una pastiglia di cianuro e una pistola: da impiegare «se nella vita commettete una trascuranza grave».

Solo eruditi riferimenti storici privi di senso? O l’esegesi aiuterebbe a comprendere meglio la genesi (e lo sviluppo nei secoli) dei fenomeni mafiosi strutturati come “sistema” (per i magistrati i riti di affiliazione sarebbero rimasti cristallizzati dall’origine)?

Così affermava Rocco Chinnici, giudice e martire della mafia, negli anni 80, proprio a proposito del fenomeno mafioso:

“prima di occuparci della mafia del periodo che va dall’unificazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale e all’avvento del fascismo, dobbiamo brevemente, ma necessariamente, premettere che essa come associazione e con tale denominazione, prima dell’unificazione non era mai esistita, in Sicilia. La mafia nasce e si sviluppa subito dopo l’unificazione del Regno d’Italia”.

 

La testata online calabrese “Info Oggi” aggiunge:

E’ nota l’alleanza tra Garibaldi e i picciotti siciliani, l’eccidio di Bronte ne è l’esempio più lampante, e lo stesso “eroe dei due mondi” scrive nel suo diario: “E Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta, 11 maggio 1860″, ma anche la decisione dei piemontesi di “istituzionalizzare” la Camorra a Napoli dandogli la gestione dell’ordine pubblico. L’artefice di tale scelleratezza fu il Prefetto Liborio Romano che scrisse a Salvatore de Crescenzo, esponente della camorra: “redimersi per diventare guardia cittadina, con quanti compagni avesse voluto, col fine di assicurare l’ordine. In cambio, i camorristi irregimentati avrebbero goduto di amnistia incondizionata e stipendio governativo”. Famose poi furono le parole del deputato repubblicano, Napoleone Colajanni, che nel 1900 affermò al Parlamento: “Per combattere e distruggere la mafia, è necessario che il Governo Italiano cessi di essere il re della mafia”.

Parole che, per chi è nato e cresciuto in quelle terre, servono poco a lenire il senso di frustrazione e di umiliazione costante, prodotto soprattutto da quella parte del paese per il quale il meridionale è ontologicamente mafioso.

E non è così, storicamente. Furono, come si legge da più fonti, le istituzioni sabaude a legittimarlo, per un calcolo di comodo. A Napoli, ad esempio,delegando, grazie a Liborio Romano, il controllo dell’ordine pubblico.

E già nei primi anni dell’Unità ne veniva chiesto conto a Palazzo Madama.

Ecco quanto si legge in Regia commissione d’Inchiesta per Napoli, Relazione sull’amministrazione comunale, di cui era relatore il senatore Saredo.

“Il male più grave, a nostro avviso, fu quello di aver fatto ingigantire la Camorra, lasciandola infiltrare in tutti gli strati della vita pubblica e per tutta la compagine sociale, invece di distruggerla, come dovevano consigliare le libere istituzioni, o per lo meno di tenerla circoscritta, là donde proveniva, cioè negli infimi gradini sociali.

 

In corrispondenza quindi alla bassa camorra originaria, esercitata sulla povera plebe in tempi di abiezione e di servaggio, (come tra l’altro avveniva anche ad altre latitudini, così come ci narrano le vicende manzioniane, ndr) con diverse forme di prepotenza si vide sorgere un’alta camorra, costituita dai più scaltri e audaci borghesi.

 

Costoro, profittando della ignavia della loro classe e della mancanza in essa di forza di reazione, in gran parte derivante dal disagio economico, ed imponendole la moltitudine prepotente ed ignorante, riuscirono a trarre alimento nei commerci e negli appalti, nelle adunanze politiche e nelle pubbliche amministrazioni, nei circoli, nella stampa. È quest’alta camorra, che patteggia e mercanteggia colla bassa, e promette per ottenere, e ottiene promettendo, che considera campo da mietere e da sfruttare tutta la pubblica amministrazione, come strumenti la scaltrezza, la audacia e la violenza, come forza la piazza, ben a ragione è da considerare come fenomeno più pericoloso, perché ha ristabilito il peggiore dei nepotismi, elevando a regime la prepotenza, sostituendo l’imposizione alla volontà, annullando l’individualità e la libertà e frodando le leggi e la pubblica fede”. (Brano tratto dalla Regia commissione d’Inchiesta per Napoli)

 

Il video dell’affiliazione:

La citazione dei tre eroi risorgimentali, secondo alcuni, in realtà farebbe riferimento a dei ruoli propri interni dell’organizzazione che al Sud, presero la forma di associazioni segrete iniziatiche sul modello della massoneria di cui avrebbero mutuato certe formalità.

Non è la prima volta che il nome di Garibaldi viene usato come codice. Secondo la biblioteca digitale sulla camorra,i camorristi colsero le opportunità offerte da Liborio Romano, per incrementare i propri introiti col contrabbando. Sapete come evitavano i controlli doganali? Dicevano “è roba d’o’ zi Peppe” è roba di zio Giuseppe che, secondo gli storici e gli studiosi di fenomeni camorristici sarebbe Giuseppe Garibaldi.