Parli in dialetto? Plebeo e ristagno antropologico!

L’ermellino campano Esposito, credo di aver capito sia della provincia di Salerno, è diventato il topos giornalistico dell’estate 2013. Un pò come lo fu la Lambada negli anni’90. Ciascuno, a modo proprio, parte dalla telefonata del giudice,  per costruire un ultramondo di considerazioni. Sarà che non si vuole parlare della sostanza, visto il governo delle larghe intese.

 

Si tranquillizzino i lettori, non si tratta quasi mai del solito leghismo o razzismo d’oltre Garigliano, le firme sono sovente meridionali, ormai ci abbiamo fatto il callo, è un fenomeno di insofferenza emigrante, che qualcuno ha approfondito.

Oggi è la volta di un articolo apparso sul blog lettera 43, che vi linko alla fine di queste quattro righe.

A prescindere dall’appartenenza geografica, l’analisi sociologica che ne fa l’autore, abbraccia tutti i dialetti d’Italia. Ovviamente, focalizzando il fenomeno sul solo Mezzogiorno, diventa, per quest’ultimo motivo, argomento di arretratezza economica, sociale e culturale. Attenzione, rispetto agli articoli di insofferenza al dialetto precedenti, qui, si va oltre, nel senso, non si parla di idiosincrasia verso l’eloquio in lingua natìa manifestata in un’aula di tribunale, ma di scampoli di relazioni sociali:

Vi ha stupito la perfomance linguistica del giudice Antonio Esposito che si esprime in un  inossidabile vernacolo al telefono? Chi conosce i paesaggi morali del nostro Sud non ha battuto ciglio. Che le classi alte nel Mezzogiorno si esprimano nell’idioma locale è spettacolo corrente di tutti i giorni. Gli scambi linguistici nel dialetto gorgogliante di “u” come un lavandino sturato,  tra notai e posteggiatori per esempio,  nella nativa città etnea sono la norma. E a Napoli il ricorso al dialetto è prassi linguistica consolidata e non
solo tra comari tra un ballatoio e l’altro.

E la chiosa finale: Il dialetto è vivacità, è freschezza e irrinunciabile  colore locale,  si dirà. Ma anche il segno del comando, del comando delle grandi masse popolari sulle realtà urbane del  Mezzogiorno.  E forse anche  il  segno di un ristagno antropologico. E’ successo nel nostro Sud  ciò che è accaduto nella magnifica civiltà egizia: non c’è stata evoluzione . Da Cheope fino ai Tolomei i geroglifici sono rimasti quelli.

 

Ora, da Lazzaro che parla in dialetto tra i vicoli della realtà reale e quella virtuale, mi sto convincendo. Ma vuoi vedere che tutti questi dotti esegeti della semantica e della fonetica, hanno ragione?

E onestamente, m so scucciato pur’io di fare sempre la figura dell’arretrato. E soprattutto iniziamo a fare delle leggi speciali, per eliminare definitivamente ogni contaminazione di classe e residuo di dialetto.

Aboliamo il dialetto e pure quella palla di World Music che ha fatto fare i miliardi a Peter Gabriel. Tutto ristagno antropologico.

Aboliamo pure la lettura di Scarpetta, di Belli, di Goldoni…sti fetient ci hanno fatto fessi che era letteratura. Ma quale letteratura era tutto ristagno antropologico, imposto dalla plebe.

E basta anche con questa contaminazione tra notai e parcheggiatori. Il notaio parli l’italiano, il parcheggiatore il dialetto. A ciascuno la sua lingua e la sua classe sociale. Borghese e plebeo, distinti, e mò basta che è sta confidenza, ma che modi sono? ( il problema, poi, è che gli parli in dialetto o che gli lasci l’obolo non dovuto? Vallo a capire).

Il ventre della plebe ha imposto perciò inderogabilmente sia per il dritto che per il rovescio (criminalità organizzata) le sue regole, il suo gusto, la sua gastronomia, il suo dialetto, i suoi toni e i suoi modi, il suo sporco, brutto e cattivo prestigio regressivo,  cui la borghesia locale mai si è sottratta restandone nei fatti socio-demo-psicologicamente soggiogata.

 

E allora diciamo basta ai bancarielli col per e o muss per strada, basta con la pizza fritta unta venduta senza il rispetto delle più elementari norme igieniche. La frittata di pasta? Se la mangiassero i plebei, la borghesia si emàncipi, che a furia di seguire la gastronomia làzzara s’è fatta venire delle panze schifose e sono diventati tutti obesi. Sushi e Nouvelle cuisine oltre i confini dei quartieri della plebe.

Basta col purptiello paesano venduto con urla disumane da orde di pescatori plebei, in un dialetto incomprensibile. E’ ristagno antropologico! Il purptiello paesano va venduto in italiano e visto che siamo in Europa, che vengano tradotti gli annunci in francese e tedesco. Chè se se ne accorge il premier tedesco, quando si imbarca al porto di Pozzuoli per andare a Ischia, c facimm piglià per i fondelli pure da loro “ha ha ha pescatoren ristagno andropologgicho”.

Comunque ecco l’articolo, io vado a disintossicarmi dal dialetto, in uno dei miei paesaggi morali :

“Chist’è na stupotaggine” – La forza linguistica, simbolica e sociale delle plebi meridionali | Brodo di coltura.

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