Da tempo andiamo raccontando del business che si cela dietro l’emergenza rifiuti in Campania e, ormai, anche a Roma.
Un business legato a lobbies più o meno pulite. O forse per nulla.
Sul Fatto Quotidiano c’è una chiara (in tal senso) intervista a Walter Ganapini un passato da presidente di Greenpeace e per due anni assessore in Campania, seconda giunta Bassolino.
Ecco quanto risponde a Nello Trocchia:
Lei dice che non c’è l’emergenza, ma scherza?
L’emergenza non esiste. Costruirla in un periodo di crisi economica solo per aumentare spartizione e mangiatoie è inaccettabile.
Ci faccia capire. Partiamo da Napoli.
Il problema è che quegli impianti li hanno fatti ammalare, quando arrivai erano inutilizzati, pieni zeppi di cataste di rifiuti, con il tempo sono stati derubricati a separatori di pattume. Un disastro. Se funzionassero bene, le frazioni in uscita sarebbero due: il secco e il biostabilizzato. Il primo combustibile in impianti esistenti o ulteriormente riciclabile, l’altro utilizzabile per ricomposizione ambientale: copertura di discariche esaurite, riempimento di cave. In Campania ci sono anche gli impianti di compostaggio, trattano la frazione umida da raccolta differenziata, ma sono inutilizzati .
Ma scusi, ma se basta questo, perché si vogliono costruire altri impianti di incenerimento in Campania?
Il piano regionale è stato bocciato in sede europea. Di quegli impianti non c’è alcun bisogno, con una crescita della raccolta differenziata al 65% come prevede la legge, l’impiantistica è sufficiente e si può pensare di selezionare ulteriormente la parte restante mandando in archivio anche il discusso inceneritore di Acerra.
E lei da assessore perché non ha risolto il problema?
Non potevo neanche entrare negli impianti. Era tutto commissariato. Feci due cose: aumentare la differenziata (arrivammo al 29%) e aprire isole ecologiche.
Mentre da Nord a Sud molti mettono i soldi in tasca, i napoletani ed i casertani continuano a morire per lo stoccaggio illegale dei rifiuti e per un’emergenza che li etichetta come incivili ed incapaci di fare raccolta differenziata. Fatto, questo, smentito dai fatti e dalle circostanze. Nei quartieri dove la raccolta differenziata funziona, infatti, raggiunge picchi del 60 e 70 per cento.
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